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Il mito di Eco e Narciso

Eco e Narciso

Testo (a cura di): Alessia de Falco, Matteo Princivalle

C’era una volta una ninfa bellissima, di nome Liriope. Tutte le mattine la ninfa andava a fare il bagno in un fiume, finché un giorno, Cefiso, il dio delle acque che abitava in quel fiume, si innamorò di lei e la strinse in un dolce abbraccio. Da quell’abbraccio nacque Narciso. Liriope, che voleva proteggere Narciso, andò a consultare il famoso indovino Tiresia, che in passato aveva dato i suoi consigli a tanti grandi eroi e perfino alle divinità. “Non devi preoccuparti per il tuo figlioletto” disse Tiresia alla madre “fintanto che non conoscerà se stesso, rimarrà un giovinetto meraviglioso e godrà di ottima salute”.
E infatti, Narciso crebbe forte e bellissimo, al punto di avere una schiera di corteggiatrici. Ma al ragazzo non interessavano le ragazze: trascorreva le sue giornate a cacciare e a cavalcare nei boschi. Un giorno, mentre il ragazzo camminava nel bosco con l’arco in spalla, lo vide Eco, una ninfa della montagna. Eco si innamorò del giovane e uscì dal suo nascondiglio per dichiararglielo. Narciso, tuttavia, la respinse in malo modo: era troppo bello per perdere tempo con una ninfa.

Da quel giorno Eco, affranta, continuò a seguire Narciso ovunque andasse: si accontentava di guardarlo. La ninfa, però, fu consumata dal suo amore e dal dolore per essere stata rifiutata; il suo corpo diventò trasparente e la poveretta si rinchiuse in una caverna nel cuore della montagna, cantando per Narciso. Narciso, che pure udiva il canto della ninfa, non le prestò attenzione e nemmeno una volta andò alla caverna a trovarla. Così, Eco svanì: di lei rimasero solo un pugno di ossa e la voce. La voce di Eco è ancora lì e risponde a chi attraversa le montagne, nella speranza che un giorno anche Narciso le risponda. Col passare del tempo, però, si è fatta sempre più debole e oggi riesce a ripetere solo le ultime sillabe delle parole dei viandanti.
Narciso, invece, continuò la sua vita. Gli dei, però, dopo aver assistito a tanto egoismo e a tanta indifferenza, decisero di punirlo. Un giorno, narciso stava inseguendo una cerva quando vide, tra la vegetazione, un laghetto cristallino. Il giovane smontò dal cavallo e raggiunse la riva, per rinfrescarsi. Lì vide il suo viso, riflesso dall’acqua: era tanto bello che Narciso si innamorò della sua immagine riflessa. Da quel momento, si recò ogni mattina a far visita a se stesso nello stagno, convinto di vedere una qualche divinità delle acque: la fissava per ore, immobile, finché un giorno si allungò sull’acqua per accarezzare quel viso e perse l’equilibrio, cadendo in acqua. Lo stagno si richiuse sopra di lui e Narciso non emerse mai più. Sulla riva, invece, spuntò un bel fiore giallo, dal profumo intenso, che in ricordo di quel giovinetto altezzoso prese il nome di Narciso.

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Zeus e Tifone

Zeus e Tifone

Per conquistare il trono degli dei sul monte Olimpo, Zeus scatenò una guerra contro suo padre, Crono, e contro i suoi fratelli, i terribili Titani. Ci fu una battaglia terribile: con l’aiuto dei suoi fratelli Ade e Poseidone e dei Ciclopi, Zeus riuscì a sconfiggere gli avversari e a rinchiuderli nel Tartaro, una prigione oscura ai confini del mondo.
Dopo la vittoria, Zeus e i suoi fratelli si spartirono il mondo, estraendo a sorte: Ade ebbe in sorte il regno dei morti, Poseidone il regno dei mari e a Zeus toccò il regno dei cieli.
La pace, tuttavia, durò poco: i Giganti, infuriati perché Zeus aveva esiliato i loro fratelli, scatenarono una seconda guerra, ma furono sconfitti.
Nessuno sembrava capace di tenere testa a Zeus: il re degli dei era forte ed astuto.
Ma Gea, madre dei Titani e dei Giganti e nonna di Zeus, cominciò a tramare contro di lui: infatti, era sdegnata per il trattamento che il nipote aveva riservato ai suoi figli.
Per vendicarsi, Gea mise al mondo un mostro terribile, Tifone. Aveva la testa di un uomo, con una lunga barba e gli occhi di fuoco e due braccia così lunghe da toccare le stelle; sulla schiena aveva una moltitudine di ali e al posto delle gambe aveva decine di serpenti intrecciati.
Tifone salì sull’Olimpo per sfidare gli dei e il suo aspetto era così terribile che le divinità, un po’ per paura e un po’ per evitare di essere riconosciute, scapparono in Egitto si trasformarono in animali.
Zeus divenne un ariete, Poseidone si inabissò negli oceani, Ade diventò uno sciacallo, Ares un cinghiale, Apollo un corvo, Afrodite un pesce e così via.
Tifone non trovò nessuno e, in preda alla furia, devastò l’Olimpo.
Solo Atena fu tanto coraggiosa da combatterlo, rimproverando aspramente Zeus con queste parole: “Padre, perché ti nascondi come un codardo e non ci difendi? Sei o no il re degli dei?”.
Zeus, per orgoglio, riprese il suo aspetto e affrontò Tifone insieme a sua figlia.
Atena affrontò Tifone per prima e fu sconfitta.
Quando fu il suo turno, Zeus colpì il mostro con la sua folgore e lo ferì, poi gli saltò addosso, per ucciderlo a mani nude, pensando di avere la vittoria in pugno.
Ma si sbagliava: appena si fu avvicinato, Tifone intrappolò Zeus avvolgendolo coi suoi serpenti, rubò la falce di diamante che portava sempre con sé e tagliò i tendini delle braccia e delle gambe al dio. Poi, lo imprigionò in una grotta e nascose i tendini nella tana di un’orsa delle montagne.
Quella notte, Ermes e Pan raggiunsero la montagna senza farsi scoprire da nessuno, trovarono l’orsa, recuperarono i tendini di Zeus dal suo corpo e li rimisero al loro posto.
Zeus riprese la sua forza e inseguì Tifone lanciando contro di lui fulmini e saette; il mostro tentò di fuggire, ma ovunque scappasse veniva raggiunto dal dio. Provò a ripararsi dietro le montagne, ma Zeus le inceneriva con i suoi colpi. Dopo un lungo inseguimento, Tifone raggiunse la Sicilia e lì Zeus lo seppellì per sempre sotto una montagna: l’Etna. Ancora oggi, si dice che Tifone, infuriato, sputi fuoco dalla cima dell’Etna.

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Bellerofonte e la chimera

Bellerofonte e la chimera

Testo (a cura di): Alessia de Falco, Matteo Princivalle

Bellerofonte era il figlio di Glauco, erede al trono di Corinto; purtroppo, a causa di un evento sfortunato, uccise involontariamente suo fratello Deliade. Anche se non lo aveva fatto di proposito, si era macchiato di una grave colpa e doveva purificarsi; per questo chiese aiuto e ospitalità all’amico Preto. La moglie di Preto, Stenebea, lo convinse che quel ragazzo era una persona malvagia e che andava eliminato. Così, Preto, scrisse una lettera all’amico Iobate, re della Licia, in cui gli chiedeva di uccidere il ragazzo; poi, chiamò Bellerofonte e gli disse di partire subito, per portare a destinazione il messaggio.

Iobate, dopo aver ricevuto la lettera di Preto, ordinò a Bellerofonte di andare ad uccidere la chimera, certo che quella bestia mostruosa lo avrebbe ucciso. La chimera era un mostro a tre teste, figlio di Tifone; la testa al centro era una testa di capra, con il potere di sputare fuoco. Il suo corpo era di leone e al posto della coda aveva un groviglio di serpenti.
Il ragazzo, ricevuto l’ordine, saltò in groppa al suo cavallo alato, Pegaso, e andò a sfidare il mostro. Poiché non riusciva ad avvicinarsi alla chimera a causa del fuoco e dei serpenti, il giovane la colpì da lontano con le sue frecce, e riuscì ad abbatterla.

Tornato in Licia, Iobate ordinò a Bellerofonte di sconfiggere i Solimi, una popolazione guerriera; anche questa volta il ragazzo, da solo, riuscì a sconfiggerli tutti. Il re gli ordinò di sconfiggere le Amazzoni e lui le vinse in battaglia.
Iobate, che non riusciva a liberarsi di lui, inviò degli assassini di notte, in modo da uccidere Bellerofonte nel sonno: ma anche questa volta, il ragazzo si accorse dell’agguato e catturò i sicari, rispedendoli poi da Iobate.
Il re, ammirato dalla forza di Bellerofonte, che aveva sconfitto mostri, nemici e perfino gli assassini, stracciò la lettera di Preto e gli lasciò in eredità il suo regno.

Quiz interattivo

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Il mito di Bellerofonte

1 / 10

Bellerofonte lasciò la città di Corinto perché...

2 / 10

Il re della Licia, Iobate, ordinò a Bellerofonte di uccidere la chimera perché:

3 / 10

La chimera aveva il potere di sputare fuoco da una delle sue teste.

4 / 10

La chimera aveva la testa di un drago e il corpo di una capra.

5 / 10

Che arma usò Bellerofonte per uccidere la chimera?

6 / 10

Dopo aver ucciso la chimera Bellerofonte tornò in Licia. Cosa fece il re Iobate?

7 / 10

Bellerofonte sconfisse, da solo, sia il popolo guerriero dei Solimi che le Amazzoni.

8 / 10

Dopo aver sconfitto anche le Amazzoni, Bellerofonte tornò al palazzo di Iobate. Cosa fece il re?

9 / 10

Bellerofonte uccise tutti gli assassini mandati dal re Iobate.

10 / 10

Come si conclude il mito di Bellerofonte?

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Ercole e i pomi delle Esperidi

I pomi delle Esperidi

Undicesima fatica di Ercole
Testo (a cura di): Alessia de Falco, Matteo Princivalle

Ercole aveva impiegato otto anni e un mese a compiere le sue dieci fatiche. Euristeo, però, non volle riconoscere l’uccisione dell’idra di Lerna e la pulizia delle stalle di Augia, così gli impose altre due fatiche. Come undicesima fatica, l’eroe avrebbe dovuto portare a Micene i pomi delle Esperidi, che Gea aveva donato a Zeus per il suo matrimonio con Era. Questi pomi dorati erano custoditi da un drago immortale con cento teste, figlio di Tifone. Insieme a lui, anche le tre Esperidi custodivano i pomi.

Ercole attraversò il mondo per raggiungere il giardino delle Esperidi: attraversò la Libia, l’Egitto e l’Arabia, uccidendo tutti i mostri che incontrò sul suo cammino.  Arrivato sulle montagne del Caucaso, sconfisse l’aquila che rodeva il fegato a Prometeo e liberò il titano dalle sue catene. Prometeo gli disse che per nessun motivo doveva cogliere i pomi delle Esperidi. Al suo posto, avrebbe dovuto mandare il titano Atlante. Atlante era una creatura gigantesca, che reggeva il cielo sulle sue spalle, evitando che questo cadesse sulla Terra. Eracle raggiunse Atlante nella terra degli Iperborei e gli propose uno scambio: avrebbe sorretto il cielo al suo posto, se il titano fosse andato a prendere i pomi delle Esperidi. Lo scambio fu fatto. Quando Atlante tornò con i pomi, però, non volle tornare al suo posto e disse ad Ercole che sarebbe andato lui stesso a portarli a Euristeo. L’eroe fu costretto a ingannare il titano: fingendo di accettare la sua proposta, gli chiese di sorreggere il cielo per qualche minuto, in modo che lui potesse avvolgersi una benda intorno al capo per asciugare il sudore. Atlante accettò, ma Ercole, non appena si fu liberato del peso della volta celeste, raccolse i pomi e fuggì a Micene.

Quiz interattivo

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Le dodici fatiche di Ercole

1 / 9

Ercole affrontò dodici fatiche per farsi perdonare una colpa terribile. Quale?

2 / 9

Il primo mostro affrontato da Ercole fu:

3 / 9

Ercole uccise il leone di Nemea con la sua spada.

4 / 9

Durante il duello contro l'idra, che stratagemma adottò Ercole per evitare che le teste del mostro ricrescessero?

5 / 9

Quale mostro uscì dalla palude di Lerna per aiutare l'idra?

6 / 9

Quale fu l'ultima delle dodici fatiche di Ercole?

7 / 9

In origine Ercole avrebbe dovuto compiere solo dieci fatiche. Queste diventarono dodici perché il re Euristeo non considerò valide due di esse: la pulizia delle stalle di Augia e...

8 / 9

Quale arma utilizzò Ercole per compiere le dodici fatiche?

9 / 9

Quale tra queste non fu una delle dodici fatiche compiute da Ercole?

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Ercole e i buoi di Gerione

I buoi di Gerione

Decima fatica di Ercole
Testo (a cura di): Alessia de Falco, Matteo Princivalle

Come decima fatica, a Ercole fu chiesto di portare a Micene le mandrie di Gerione. Gerione, discendente di Oceano, era una creatura con due gambe e tre busti di uomo, tre teste e sei braccia. Costui possedeva una mandria di buoi e giovenche rosse come il fuoco, custodite dal cane a due teste Orto, figlio di Tifone.
Ercole partì da solo per raggiungere Erizia, dove Gerione custodiva le sue mandrie; lì fu assalito dal cane, ma riuscì a sconfiggerlo con la sua clava. Ercole sconfisse anche il mandriano che custodiva le mandrie, poi caricò gli animali sulla sua nave. Nel frattempo, era arrivato anche Gerione, che impugnava armi con tutte le sue braccia. Dopo un lungo duello, Ercole lo abbatté con una freccia; poi, salpò per tornare a casa.

La via del ritorno, però, non fu facile. Dapprima, un bue imbizzarrito si gettò in mare dalla nave e nuotò fino alla Sicilia. Lì fu raccolto dal figlio di Poseidone, che lo unì alle sue mandrie. Eracle fu costretto a sconfiggerlo in battaglia per tre volte di fila prima di riavere il suo bue.
Poi, dopo aver attraversato il mar Ionio, mentre sostava in Tracia, Era scatenò un tafano contro le mandrie, che scapparono sulle montagne, dove divennero selvatiche. Ercole le inseguì e le riportò sulla nave. Infine, raggiunta Micene, consegnò gli animali a Euristeo, che li offrì in sacrificio a Era.

Quiz interattivo

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Le dodici fatiche di Ercole

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Ercole affrontò dodici fatiche per farsi perdonare una colpa terribile. Quale?

2 / 9

Il primo mostro affrontato da Ercole fu:

3 / 9

Ercole uccise il leone di Nemea con la sua spada.

4 / 9

Durante il duello contro l'idra, che stratagemma adottò Ercole per evitare che le teste del mostro ricrescessero?

5 / 9

Quale mostro uscì dalla palude di Lerna per aiutare l'idra?

6 / 9

Quale fu l'ultima delle dodici fatiche di Ercole?

7 / 9

In origine Ercole avrebbe dovuto compiere solo dieci fatiche. Queste diventarono dodici perché il re Euristeo non considerò valide due di esse: la pulizia delle stalle di Augia e...

8 / 9

Quale arma utilizzò Ercole per compiere le dodici fatiche?

9 / 9

Quale tra queste non fu una delle dodici fatiche compiute da Ercole?

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Ercole e le cavalle di Diomede

Le cavalle di Diomede

Ottava fatica di Ercole
Testo (a cura di): Alessia de Falco, Matteo Princivalle

Come ottava fatica Euristeo chiese ad Ercole di rubare le cavalle di Diomede, re di Tracia, e di portarle a Micene. Diomede era figlio del dio Ares e regnava sul popolo dei Bistoni, guerrieri feroci. Ercole partì con un gruppo di volontari, armati fino ai denti; dopo aver raggiunto i recinti delle cavalle, sconfisse i guardiani e le portò alla sua nave.
Stava per salpare con i suoi uomini quando arrivarono i Bistoni. Ercole diede le cavalle a Abdero, uno dei suoi uomini, affinché le facesse salire sulla nave e le custodisse; poi, affrontò i Bistoni e uccise in battaglia Diomede, facendo fuggire tutti gli altri. Arrivati a Micene, Euristeo ordinò a Ercole di liberare le cavalle, che fuggirono fino al monte Olimpo: lì, però, furono sbranate dalle bestie selvatiche.

Quiz interattivo

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Le dodici fatiche di Ercole

1 / 9

Ercole affrontò dodici fatiche per farsi perdonare una colpa terribile. Quale?

2 / 9

Il primo mostro affrontato da Ercole fu:

3 / 9

Ercole uccise il leone di Nemea con la sua spada.

4 / 9

Durante il duello contro l'idra, che stratagemma adottò Ercole per evitare che le teste del mostro ricrescessero?

5 / 9

Quale mostro uscì dalla palude di Lerna per aiutare l'idra?

6 / 9

Quale fu l'ultima delle dodici fatiche di Ercole?

7 / 9

In origine Ercole avrebbe dovuto compiere solo dieci fatiche. Queste diventarono dodici perché il re Euristeo non considerò valide due di esse: la pulizia delle stalle di Augia e...

8 / 9

Quale arma utilizzò Ercole per compiere le dodici fatiche?

9 / 9

Quale tra queste non fu una delle dodici fatiche compiute da Ercole?

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