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L’incredibile storia della colomba pasquale

Questo racconto fa parte della raccolta “Storie di Pasqua per bambini

LEGGETE ANCHE: La vera storia della lepre di Pasqua – La leggenda del pettirosso – La storia del salice piangente

La storia della colomba pasquale

Testo (a cura di): Alessia de Falco e Matteo Princivalle

Era la vigilia di Pasqua dell’anno 572. Alboino, il re dei longobardi aveva invaso l’Italia, conquistando Bergamo, Milano e Brescia. Alla vista del suo terribile esercito, le città sventolavano bandiera bianca e si arrendevano senza opporre resistenza. Solo Pavia si era opposta al terribile sovrano; quando i longobardi erano arrivati alle porte della città, avevano trovato frecce e sassi ad accoglierli.
“Osate resistermi?” gridò Alboino ai pavesi. “Vi conquisterò e poi darò alle fiamme questa città. Non resterà nemmeno una stalla, cancellerò Pavia dalle mappe”.

La storia, però, era andata diversamente diversamente. Per tre lunghissimi anni, i pavesi avevano respinto tutti gli assalti grazie al loro coraggio. Ma alla fine, i longobardi ebbero la meglio: un manipolo di guerrieri, proteggendosi dalle frecce con gli scudi di legno, arrivò fino alla porta della città e la sfondò con un grosso tronco di legno.

“All’attacco!” disse il re, galoppando dentro le mura. Aveva appena attraversato le porta della città quando il suo cavallo stramazzò al suolo per la stanchezza. Alboino saltò giù dalla sella, mise la spada nel fodero e si inginocchiò accanto al cavallo. Era un guerriero spietato, ma amava profondamente il suo destriero, che lo aveva accompagnato fin lì da lontano, combattendo mille battaglie e affrontando ogni pericolo con coraggio e fedeltà. Il re provò a rialzarlo con tutte le sue forze, ma non ci fu niente da fare.

“Alzati Flagello, rimettiti in piedi mio caro. Abbiamo fatto tanta strada insieme, non puoi lasciarmi qui da solo”.
Che strano spettacolo: mentre i soldati longobardi, armati fino ai denti, combattevano all’ultimo sangue contro gli uomini di Pavia, il loro re piangeva come un bambino accanto al suo cavallo.

Fu allora, nel mezzo della battaglia, che un fornaio si fece largo tra i soldati e raggiunse il re longobardo. Poiché era coperto di farina dal capo ai piedi, i soldati pensarono che volesse arrendersi e lo lasciarono passare. Il fornaio teneva tra le mani un dolce a forma di colomba, che offrì ad Alboino.

“Questa colomba è un dono per voi. Simboleggia la pace, la grazia e il perdono. Domani sarà un giorno di festa per noi, sarà Pasqua. Non distruggete la nostra città. Non troverete oro e ricchezze dentro le nostre case, non ci è rimasto nemmeno il pane, ma se faremo la pace, allora otterrete il tesoro più grande di tutti. Mentre il fornaio diceva queste parole, l’odore fragrante della colomba raggiunse le narici del cavallo di Alboino. Come per miracolo, l’animale si alzò, mangiò un boccone di quel dolce e si rimise in forze.

Commosso, il re dei longobardi ordinò ai suoi uomini di fermarsi, liberò la città dall’assedio e concesse la grazia ai suoi avversari. Il giorno dopo, tutti i fornai di Pavia prepararono dei dolci a forma di colomba, come quella che li aveva salvati.

Da allora in Italia si festeggia la Pasqua gustando la colomba pasquale, un dolce della tradizione fatto di pasta lievitata e frutta candita.

storia della colomba pasquale

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La rivolta delle parole

La rivolta delle parole

Testo di: Alessia de Falco e Matteo Princivalle

C’era una volta un vocabolario. Era robusto, ingiallito, con una spessa copertina blu. Le sue pagine erano ricamate di parole scritte fitte fitte. Chi lo consultava sentiva nell’aria il profumo dei luoghi sicuri. Tutto andava bene, troppo bene per poter raccontare una storia degna di nota. Fu allora che accadde l’imponderabile: le parole del vocabolario, una mattina, sparirono. Tutte, dalla prima, all’ultima.

“Ma dov’é finito Alambicco? Dove si é cacciata Forchetta?”. Era sparita pure Tracotanza, di cui tuttavia si faceva volentieri a meno. Un bel pasticcio perché, si sa, un vocabolario senza parole serve a ben poco. “Vabbè, non fare così” gli dicevano gli altri libri vicino a lui “Potrai sempre diventare un block notes: pensa che bello, servirai per la lista della spesa”. Insomma, la faccenda era grave, ma come ci hanno insegnato, non seria: le parole avevano litigato.

Sí, li-ti-ga-to, avete capito bene. La tenzone aveva avuto inizio perché i vocaboli di genere maschile avevano affermato che loro erano superiori; quelli di genere femminile avevano risposto che avevano lottato troppi anni per avere un loro spazio tra le pagine del vocabolario e che erano pronti alla guerra per difendere la loro posizione. Sicché, dopo ore in cui Insulto ed Offesa avevano dato il meglio di sé in un duello, si erano stancati tutti e se n’erano andati. Le parole, rigorosamente divise tra vocaboli maschili e femminili, avevano trovato rifugio tra le pagine degli altri libri sullo scaffale (combinando non pochi guai tra i racconti). “Che disastro …” disse sconsolato il vocabolario, parlando con Vuoto, l’unico vocabolo rimasto e che per giunta non aveva mai molto da dire.

Fu allora che si accese la protesta: questa volta non erano le parole, ma i libri, che si erano scocciati di tutti quei capricci. “Non vi vogliamo, uscite dalle nostre pagine: se non siete in grado di fare gioco di squadra, non potrete mai comporre un capolavoro. Siete parole inutili, vuote, prive di senso, prive di cuore”. Fu allora che Cuore e Senso spuntarono da un grosso volume rilegato in pelle e tornarono dentro il vocabolario tenendosi a braccetto, portandosi appresso anche Scusa, già che c’erano. Poi fu la volta di Perdono ed Amicizia, che si intendevano abbastanza quando volevano. E così tutti gli altri: Noia, Emozioni, Rabbia, Lacrima, Rimorso, Gioia, Allegria e, lentamente, insieme a Dolore, pure Tristezza. C’erano proprio tutti e, a poco a poco, le pagine del vocabolario tornarono a essere ricamate di righe fitte fitte.

Per ultimi, arrivarono Amore e Vita: “Scusaci se ti abbiamo fatto aspettare” dissero al vocabolario “Abbiamo capito la lezione. Nessuno di noi può fare a meno degli altri. Ci sono parole femminili e maschili, questo è vero, ma se vivono accanto rispettandosi e volendosi bene, saranno sempre una grande squadra”. Fu allora che arrivò trafelato Insieme che si era perso tra i libri di avventura. “Scusate il ritardo” disse e fu così che il vocabolario, felice, si richiuse.

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Entra nella mia bolla

Entra nella mia bolla

Testo di: Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una vecchia casa, con una vecchia porta ed un vecchio camino. Dentro vi abitava un vecchio signore, chiuso nel suo salotto come in una bolla. Leggeva, studiava, ancora leggeva. “Voglio sapere tutto”, si diceva, “Tutto quello che non ho studiato da piccolo, quando c’era la guerra e non si poteva andare a scuola”.

Un giorno la vecchia porta d’ingresso scricchiolò, era entrato un bambino.
Andò in salotto e vide il vecchio: “Ciao” disse, “come ti chiami?”.
“Che ti importa, bambino, del mio nome?”.
“I nomi sono importanti. E poi qui ci sono 247,8 piastrelle per terra. È un numero che mi piace. Se abiti qui, devi avere un bel nome”.

Il vecchio non aveva mai contato le piastrelle del pavimento e non aveva mai pensato a quanto fosse bello il suo nome. Chissà se era bello davvero…
“Devi andartene, non puoi stare qui”.
Il bambino lo guardò e poi si congedò: “Vivi come in una bolla”. Poi, uscì. Quanto silenzio cadde sopra il vecchio, subito dopo.
“La bolla…” pensò. Si guardò intorno, prese in mano un libro che parlava di insetti. Cercò in giro per casa emozioni. Non ce n’erano, erano uscite insieme al bambino. Passò un giorno, nulla accadde nella vecchia casa, con la vecchia porta ed il vecchio camino. Il vecchio sedeva in salotto e contava le piastrelle. “243 … 244 … 245 …”.

La porta scricchiolò di nuovo, un suono ormai familiare. Era il bambino: “Sono venuto per dirti che ho sbagliato a contare, le piastrelle sono 24…”. “Sono 248,7” lo interruppe il vecchio. “Non avevi guardato bene l’angolo in fondo alla stanza, perché era un po’ buio”. Poi, sorrise, per la prima volta nella sua vita. Anche il bambino sorrise, forse per la prima volta nella sua vita.
“Entra nella mia bolla, se vuoi”, disse commosso il vecchio.
“Se io entro nella tua, tu puoi entrare nella mia”.
Il vecchio ed il bambino si sedettero vicini, a 4,52 piastrelle di distanza. Le due bolle però erano un po’ più vicine.

entra nella mia bolla

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Poesie e filastrocche sull’autismo

Scoprite tante poesie sull’autismo  in questa sezione di poesie per bambini.

poesie sull'autismo

Poesie sull’autismo

Autismo

Testo di: Antonella Berti

Caro amico, non toccarmi
non pensare di baciarmi
tengo chiuse l’emozioni
scusa tanto mi perdoni ?
Sono dentro al mio castello
ma non sono un menestrello
sono il mago sulla torre
di guardarti non m’imporre.
Io sto bene nel silenzio
ogni colpo è un bel supplizio
ma, stai certo, caro amico
anche se non te lo dico,
anche se sto sempre muto
ho bisogno del tuo aiuto.

L’autismo in versi

Germana Bruno

È piccolo il mio mondo
e ci sto soltanto io,
non parlo o ti confondo
con strano chiacchierio,
saltelli e gesti strani
col corpo e con le mani
e fisso su qualcosa
lo sguardo mio si posa,
ti chiedi cosa penso,
ti sembro senza senso.
Son alte e forti mura
Costruite intorno a me,
ti faccio un po’ paura,
non sono come te.
È un altro mondo il mio
e tu non riesci a entrare
diversa lingua ho io
e tu non sai capire.
Se solo vuoi provare,
se prendi l’astronave,
potrai da me atterrare
e forse anche capire,
perché, in ogni viaggio,
un nuovo paesaggio
ti apre gli occhi e il cuore,
per renderti migliore.

Diversi?

Testo di: Antonella Berti

Mamma mamma mi sento perso,
gli altri dicono che son diverso
la mia pelle tutta nera
credevo bella come una sera.

Amo giocare con le bambine tra
piatti, pentole e bamboline
io non ci trovo nulla di male,
di distorto o di amorale.

A me non piace star in compagnia
quando giocate preferisco andar via
state tranquilli , voi siete in gamba
è la mia testa che è un poco stramba.

Noi siam diversi,
per certi versi
ma, vi assicuro, se abbattete il muro tra noi
possiam dimostrarvi che siamo come voi.

In un mondo tutto mio

Testo di: Silvia Buda

Vivo in un mondo tutto mio,
lì ci sono soltanto io.
Ci starei per ore ed ore,
là non c’è nessun rumore.
Il silenzio è mio amico:
questo è quello che vi dico.
Pregasi non disturbare:
qui non bisogna mai bussare.
Forza parla piano, piano
e, dai, tendimi la mano.
Ci si entra uno alla volta,
non c’è fila che si ingorga.
Non si grida, non si urla
e non è mica una burla.
Non sarà il finimondo…
se di blu è il mio mondo!

Il compagnetto

Testo di: Margherita Bufi

La maestra ieri ha detto
che oggi arriva un compagnetto
molto bravo a contare
e a memorizzare.

Non guarda negli occhi
e guai se lo tocchi!
Sente tutti i rumori
non solo quelli dei motori.

Se ha paura grida,
ma se sta bene si fida.
È un bambino speciale
molto molto originale.

Ha detto che ha l’autismo
ed è un alunno vispo.
Son curiosa d’incontrarlo
anche se non potrò baciarlo.

È una bolla

Testo di: Silvia Buda

È una bolla molto bella,
ci entra anche mia sorella.
Non si muove e non scoppia,
è leggere, si raddoppia.
Io ci entro quando voglio,
anche quando un libro sfoglio.
Del silenzio è la bolla…
qualche volta lei decolla.
È una bolla assai speciale,
sembra essere spaziale.
È una bolla tutta blu…
forza, entraci anche tu!

I classici

Sono finito dentro un vetro

Testo di: Giuseppe Bordi

Sono finito dentro un vetro
non so più tornare indietro
Sono chiuso nel mio mondo
se mi chiami non rispondo
Oggi ho chiuso nei pensieri
le parole che avevo ieri
Non ti guardo mai negli occhi
non sopporto che mi tocchi
Non sopporto il tuo rumore
non ho mai lo stesso umore
Non ti mostro un’emozione
non ti canto una canzone
Sono svelto, irraggiungibile
afferrarmi non ti è possibile
ma stai in scia nel mio volo
io non voglio stare solo.

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Tag: poesie autismo, poesie sull’autismo, poesie sull’autismo per bambini

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Filastrocche sul pesce d’aprile

Scoprite tante filastrocche sul pesce d’aprile in questa sezione di filastrocche.

LEGGETE ANCHE: Poesie sulla primavera – Storie e leggende di primavera – Filastrocche sui fioriFilastrocche sulla primaveraPoesie sui fiori

Indice delle filastrocche sul pesce d’aprile

  1. Filastrocca del pesce di aprile (testo di: Alessia de Falco e Matteo Princivalle)
  2. La fata di aprile (testo di: Monica Sorti)
  3. Non sono un pesce (testo di: Silvia Buda)

filastrocche sul pesce d'aprile

Filastrocche sul pesce d’aprile

Filastrocca pesce d’aprile

Testo di: Alessia de Falco e Matteo Princivalle

Marzo, mese pazzerello
ad April tese un tranello:
Ti hanno appena licenziato
Scrisse al nuovo arrivato.
Disperato il buon aprile
Scoppiò a piangere in cortile.
“Sono dolce e delicato,
perché mi hanno licenziato?”
Gli altri mesi, più furbetti,
eran pieni di sospetti.
Così andarono da marzo
e svelaron quello scherzo.
Era il primo pesce di aprile:
scherzo buffo ma infantile.
E voi bimbi ricordate:
con il pianto non scherzate.

La Fata di Aprile

Testo di: Monica Sorti

Entra danzando e fa una bella spaccata:
è un po’ in ritardo, la primavera è già arrivata,
ma non rientrava tra le sue mansioni,
quella di levarla dal baule delle stagioni,
perché questo incarico, con grande sfarzo,
è stato assegnato alla Fata di Marzo.
Visto che la natura ha ormai aperto gli occhi
lei deve solo dare gli ultimi ritocchi.
Con un colpo di bacchetta e poche mosse
fa diventare le gemme un po’ più grosse
e visto che di già fa un poco caldo
tinge l’erba di un bel verde smeraldo.
Degli orologi inverte le rotte
per allungare il giorno ed accorciar la notte.
Procura tanti scherzi, proprio non se ne esce,
soprattutto il giorno 1 quando si festeggia il Pesce.
E’ una tipa molto calma, che procede piano piano,
quando arriva ti mette voglia di un pisolino sul divano.
E’ adorabile, con il suo profumo primaverile,
è giunta tra di noi la Fata di Aprile.

Non sono un pesce

Testo di: Silvia Buda

Non sono un pesce, io l’ammetto
non sto nel fiume, né nel laghetto.
Tutto di carta io sono fatto,
non sono vero ma un poco astratto.
Se mi vedi, sono attaccato
proprio alle spalle appiccicato.
Mi diverto davvero un sacco,
sono un pesce un po’ bislacco!
Coi bambini giù in cortile…
sono un gioco un po’ infantile,
uno scherzetto primaverile…
da tutti noto: “Pesce d’aprile!”.

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Com’è nato il pesce di aprile

LEGGETE ANCHE: Poesie di aprileFilastrocche di aprile

Com’è nato il pesce di aprile

Testo di: Alessia de Falco e Matteo Princivalle

Era una tiepida mattina di primavera e Marzo, il mese più pazzerello dell’anno, era molto agitato. “Ancora pochi giorni e dovrò lasciare il mio posto ad Aprile. Che ingiustizia! Avevo ancora così tante cose da fare: c’era la pioggerella da far scendere sui passanti, le folate di vento per far sbattere le imposte all’improvviso, le violette da svegliare. Persino il Sole, il Sole, mi aspettava per quel famoso torneo di briscola che non abbiamo mai finito…Ah povero me…Il tempo è tiranno!”.
Si stava crogiolando nei suoi pensieri quando passò una rondine e gli cinguettò all’orecchio: “Da quando il nobile, folle, Marzo si abbatte di fronte alle difficoltà? Suvvia, amico mio, trova una soluzione per restare! Mi diverto così tanto quando fai cambiare il tempo ogni cinque minuti!”.

E così Marzo prese carta e penna e si mise a scrivere: “Caro Aprile, sono spiacente di informarti che il nostro rapporto di collaborazione termina quest’anno. Firmato: il Tempo”. Poi sigillò la busta e la spedì, con un sorriso malandrino. Qualche giorno dopo, un urlo acuto echeggiò nell’aria. Il postino aveva appena consegnato la lettera ad Aprile:”Oh povero me, sono stato licenziato! Ma com’é possibile, dopo tanti anni di onorato servizio?”.
Il poveretto si sedette sul ciglio della strada e si mise a singhiozzare disperato.
Proprio in quel momento passavano di lì Luglio e Agosto, al momento nullafacenti visto che l’estate era ancora lontana. “Ehilà Aprile, che ti succede? Perché piangi?”.
“Sono rimasto senza lavoro, il Tempo mi ha licenziato!”.

I due mesi si guardarono perplessi, poi si rivolsero ad Aprile: “Qui c’è lo zampino di qualche buontempone, chissà se Marzo ne sa qualcosa…”. E così presero a braccetto Aprile e si apprestarono a chiarire la cosa.
“Hai qualcosa da dirci?” chiesero a Marzo con fare inquisitorio. Non ci misero molto a svelare l’arcano e a dare una bella lavata di capo a quel mese così impertinente.
Marzo dapprima si risentì, poi si pentí e alla fine mugugnò: “Non volevo fare nulla di male, soltanto divertirmi un po’. Ogni tanto una risata rende più luminosa anche una giornata di pioggia”.

In effetti i mesi concordarono che, sebbene l’esito dello scherzo non fosse quello desiderato, il fine però era buono: una risata fa sempre bene, in ogni mese dell’anno. E così, per rimediare alle malefatte di Marzo e dar lustro ad Aprile, decisero che il suo primo giorno sarebbe stato per eccellenza il giorno degli scherzi. Fu così che nacque il Pesce di Aprile.

la leggenda del pesce d'aprile

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