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Oggetto transizionale: che cos’è?

L’oggetto transizionale è quell’oggetto, tipicamente un peluche o un pupazzo, che aiuta il bambino nei suoi primi momenti di separazione dalla figura della madre. Si tratta di un oggetto e di una funzione descritti per la prima volta dal pediatra e psicanalista Donald Winnicott.

oggetto transizionale

COS’È L’OGGETTO TRANSIZIONALE?

Si tratta di un oggetto, solitamente morbido al tatto e alla pressione. Tipici esempi di oggetti transizionali sono peluches, pupazzi, coperte e pezzi di stoffa spessa.

Il bambino utilizza questo oggetto durante il processo di individuazione-separazione, ovvero quella tappa dello sviluppo psicologico in cui il bambino comincia a considerare la madre come un’entità separata da lui.

Si tratta di un processo molto delicato, in cui il bambino da fondo alle proprie risorse cognitive ed emotive; ecco perché è importante lasciare a sua disposizione un eventuale oggetto, che lo supporti nel momento del distacco. Non sarà necessario riempire la culla di peluches e coperte: sarà il bambino stesso, se ne sente la necessità, ad eleggere un oggetto tra quelli che lo circondano come suo oggetto transizionale.

LA TEORIA DELLO SPAZIO TRANSIZIONALE DI WINNICOTT

L’oggetto transizionale nasce dalla teorizzazione di Winnicott, che aveva individuato attraverso le sue osservazioni uno spazio transizionale, ovvero uno stato in cui il neonato è convinto di vivere in una realtà interamente plasmata dai suoi desideri.

Poco per volta, però, si scontrerà con una realtà in cui la madre esiste a prescindere dai suoi desideri.

Tra il primo e il secondo stadio, esiste appunto uno spazio transizionale, che ha la funzione di accompagnare il bambino verso una concezione oggettiva della realtà senza esserne traumatizzato. In questo spazio si colloca l’utilizzo dell’oggetto transizionale, come forma di reazione alla separazione.

Il bambino utilizza l’oggetto transizionale sia per calmare l’angoscia della separazione, vedendo in esso un sostituto della madre, sia per sperimentare una prima forma di relazione con un altro da sé.

Sempre secondo la teorizzazione psicoanalitica di Winnicott, è lo spazio transizionale che permette all’individuo di dare forma alla propria originalità e alle proprie passioni, che sono una sorta di luogo di confine tra il regno dell’oggettività e quello della soggettività.

COME COMPORTARSI CON L’OGGETTO TRANSIZIONALE?

Una buona norma è quella di permettere al bambino di tenere con sé il suo oggetto transizionale; gradualmente se ne distaccherà, anche in relazione all’ingresso alla scuola dell’infanzia e del suo percorso di sviluppo. Ci basterà, dunque, non forzare i tempi.

Con un pizzico di attenzione, ricordiamoci di portare l’oggetto transizionale con noi, anche durante i primi viaggi. In questo modo eviteremo esperienze traumatiche, al bambino e all’intera famiglia.

E se il bambino non ha un oggetto transizionale? Cominciamo dalla premessa che la teoria di Winnicott rimane una teoria, circoscritta all’ambito psicoanalitico. Può capitare che non sia un peluche l’oggetto in questione. Tuttavia, ogni bimbo, chi più chi meno, ha un oggetto, uno spazio o una routine particolarmente cara, che si può considerare come il suo oggetto transizionale.

Come ogni genitore già sa e fa d’istinto, prendiamoci cura delle routine, delle abitudini: un giorno impareremo a superarle, ma oggi ci aiuteranno a stare meglio. Questo è l’unico consiglio che ci sentiamo di dare a mamma e papà: siate naturali, credendoci. Anche quando si parla di oggetti transizionali.

BIBLIOGRAFIA E APPROFONDIMENTI

Winnicott Donald W. (1971), “Gioco e realtà”, Armando Editore

Dell’Orto, S. (2003), W.D. Winnicott and the transitional object in infancy. Pediatric Medicine Chirurgic 25(2), 106-112

 

 

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Riscopriamo l’Araba Fenice, simbolo di resilienza

Questa sera facciamo un esperimento, provando a parlare di resilienza attraverso un racconto mitologico. La protagonista della nostra riflessione è la celebre Araba Fenice, l’uccello capace di risorgere dalle sue ceneri (o dalle acque, a seconda dei racconti).

Oggi la Fenice è anche una costellazione dell’Emisfero Sud, costituita da 11 stelle, vicino a Tucana (il Tucano) e Sculpto. Fu Johann Bayer a nominarla così nel 1603. Questa costellazione è stata anche chiamata Grifone, Aquila, Giovane Struzzo (dagli arabi) e Uccello di Fuoco (dai cinesi).

L’Araba Fenice rappresenta un po’ tutti noi, quando impariamo a reagire alle avversità della vita, rialzandoci più forti e motivati. Rileggere i racconti su questo uccello mitologico è un modo per riflettere sulle capacità di adattarci ai cambiamenti, rinascendo più forti e potenti.

Vi proponiamo di seguito un breve excursus, sperando che sia un’occasione per incuriosire i bambini e riflettere insieme sulla resilienza. C’è anche un’altra chiave di lettura che ci sembra interessante:  la medesima simbologia del rinascita, incarnata in un uccello mitologico, ha accomunato nei secoli tante persone, lontane per lingua, stile di vita e cultura.

Sulla resilienza vi invitiamo a leggere il nostro mini saggio e gli approfondimenti collegati, che qui vi riportiamo:

Esercizi per insegnare la resilienza a grandi e bambini

Resisto, dunque sono: le 5 frasi per essere più resilienti

Libri sulla resilienza, per grandi e bambini

Resilienza: le 7C per insegnarla ai bambini

Intanto, volate sulle ali della fantasia insieme all’Araba Fenice.

LA FENICE NELL’ANTICO EGITTO

Nell’antico Egitto, si narrava di Bennu, un uccello sacro che incarnava il dio Ra e il dio Osiride. La sua peculiarità era il canto, così melodioso da incantare persino le divinità. Il suo potere più grande era tuttavia un altro: poteva vivere molti secoli, addirittura cinque, per poi morire in un bellissimo falò da cui sarebbe rinato subito dopo.

Gli antichi Egizi furono i primi a parlare della Fenice come del Bennu, dal verbo “benu” che significa risplendere, sorgere o librarsi in volo. I testi egizi narrano di un uccello simile ad un airone, apparso sulla prima collina emersa dalle acque primordiali. Nel tempo la Fenice venne associata col sole e rappresentava il BA (“l’anima”) del dio del sole Ra, di cui era l’emblema.

L’ARABA FENICE IN ARABIA

Anche nell’antica Arabia, la Fenice, o Phoenix, è un favoloso uccello identificato anche come l’uccello del paradiso. Un racconto arabo del XIII secolo, scritto da Attar ed intitolato “Il linguaggio degli uccelli” racconta una epopea mistica nella quale gli uccelli cercano il loro re, il Simurgh, e infine arrivano al suo palazzo, al di là dei sette mari, per scoprire che sono loro stessi il Simurgh e che Simurgh è sia uno che tutti. Sempre in Arabia, la Fenice veniva dipinta su bottiglie di vetro per conservare dei veleni, per proteggere le persone dall’avvelenamento.

LA FENICE DI ESIODO

Anche Esiodo, il primo poeta greco del quale possediamo notizie storiche, menziona la Fenice. Ecco i versetti dell’enigmatico frammento 50:

Di nove uomini forti così la ciarliera cornacchia
vive la vita; il cervo di quattro cornacchie, e il corvo
diventa vecchio quanto tre cervi. La fenice, poi, vive
per nove corvi; per dieci fenici viviamo noi Ninfe,
ricciole belle, figlie di Giove dell’egida sire.

Traduzione di Ettore Romagnoli, 1929

.Erodoto è il primo a fornire una versione dettagliata del mito e ne parla nel secondo libro delle sue Storie, quello dedicato all’Egitto (la Fenice ha molte analogie con Bennu, un uccello sacro in Egitto:

C’è anche un altro uccello sacro che si chiama fenice. Io non l’ho mai visto, se non dipinto; poiché, tra l’altro, compare tra loro soltanto raramente: ogni 500 anni, come affermano i sacerdoti di Eliopoli; e si fa vedere, dicono, quando gli sia morto il padre.

“Per dimensioni e per forma, se è come lo si dipinge, è così: le penne della chioma sono color oro, le altre sono rosse; soprattutto esso è molto somigliante all’aquila per forma e dimensioni. Dicono che esso compia un’impresa di questo genere (ma secondo me il racconto non è credibile): cioè, partendo dall’Arabia, porta nel tempio del sole il padre, tutto avvolto nella mirra, e lo seppellisce nel santuario del Sole.

Per trasportarlo farebbe così: prima di tutto, dicono, impasta con la mirra un uovo grande quanto le forze gli permettono di portarlo; poi si prova a tenerlo sollevato e, quando si sia in tal modo allenato, avendo svuotato l’interno dell’uovo, vi introduce suo padre. Quindi con altra mirra spalma la parte per la quale ha praticato lo svuotamento e introdotto il padre, di modo che, essendovi quello dentro, si ristabilisce il peso di prima; avendolo dunque così avvolto, lo trasporta in Egitto nel santuario del Sole. Ecco quanto raccontano di questo uccello.

Traduzione di Luigi Annibaletto, 1956

.Erodoto, assimila la Fenice al Bennu, l’uccello sacro dell’antico Egitto.

LA FENICE DEI LATINI

Ne parla Ovidio nelle Metamorfosi, raccontando della lontana Assiria:

Esiste un uccello che da solo si rinnova e si riproduce:
gli Assiri lo chiamano fenice; non vive di frutti né di erbe,
ma di lacrime d’incenso e di succo di cardamomo.

Anche lo storico latino Publio Cornelio Tacito la menziona nei suoi Annales:

Durante il consolato di Paolo Fabio e Lucio Vitellio [eletti consoli nel 34 dC], dopo un lungo volgere di secoli, l’uccello fenice giunse in Egitto, e ai più dotti fra nativi e fra i Greci fornì l’occasione di molte disquisizioni circa quel prodigio. Mi fa piacere riferire quelle cose su cui si concorda e quelle cose ancor più numerose che sono controverse, ma che vale la pena conoscere.

Per gli antichi Romani la Fenice è sacra al Sole, caratterizzata da un piumaggio lussureggiante e capaci di vivere per più di 500 anni.

L’ARABA FENICE IN CINA

Per i cinesi, la Fenice portava nel becco due pergamene o una scatola quadrata che conteneva i Testi Sacri, e recava iscritte nel corpo le Cinque Virtù Cardinali. La sua coda includeva i cinque colori fondamentali (blu, rosso, giallo, bianco e nero) e il suo corpo era una mistura dei sei corpi celesti (la testa simboleggiava il cielo; gli occhi, il sole; la schiena, la luna; le ali, il vento; i piedi, la terra; e la coda, i pianeti).

Era una delle quattro creature magiche che presiedevano i destini della Cina: Bai Hu (la tigre bianca) o Ki-Lin (l’unicorno) per l’Ovest; Gui Xian (la tartaruga o il serpente) per il Nord; Long (il drago) per l’Est; e, per il Sud, Feng (la Fenice) — detto anche Fêng-Huang, Fung-hwang o Fum-hwang. Rappresentava il potere e la prosperità, ed era un attributo esclusivo dell’imperatore e dell’imperatrice, che erano gli unici in tutta la Cina ad essere autorizzati a portare il simbolo del Feng.

L’ARABA FENICE IN INDIA

Nella cultura induista e buddista, la Fenice si chiama Garuda e ha fattezze umane, con ali e becco d’aquila. Narra la leggenda indù che Kadru, madre di tutti i serpenti, combatté con la madre di Garuda, imprigionandola.

Garuda andò quindi a recuperare del Soma, che lo rese immortale, per liberare sua madre da Kadru. Viṣṇu, colpito da ciò, lo scelse come avatar (l’incarnazione terrestre) o destriero. Comunque, Garuda mantenne un grande odio verso i Naga (la famiglia dei serpenti e dei draghi), e ne ammazzava uno al giorno per pranzo. Poi però un principe buddista gl’insegnò l’astinenza, e Garuda riportò in vita le ossa di molti dei serpenti che aveva ucciso.

L’ARABA FENICE NELLA LETTERATURA

La fenice è cantata da numerosi poeti classici, oltre ad Ovidio precedentemente menzionato. In epoca cristiana, i padri della Chiesa accolsero la tradizione ebraica e fecero della fenice il simbolo della resurrezione della carne. La sua immagine ricorre frequentemente nell’iconografia delle catacombe.

Dante Alighieri così descrive la Fenice:

Che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa
erba né biada in sua vita non pasce,
ma sol d’incenso lacrima e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce.

Inferno XXIV, 107-111

Al giorno d’oggi sopravvive il modo di dire “essere una fenice”, per indicare qualcosa di introvabile, un esemplare unico e soprattutto inafferrabile, come troviamo nei versi del poeta Metastasio:

È la fede degli amanti
come l’araba Fenice:
che vi sia ciascun lo dice,
dove sia nessun lo sa.

UN LABORATORIO SULL’ARABA FENICE

E se usassimo gli spunti che abbiamo letto per inventare la nostra Araba Fenice, il simbolo dei cambiamenti e delle nostre rinascite? Si può dipingere su una maglietta, provare a descrivere in una storia o realizzare in un disegno. Può essere anche un insolito costume di Carnevale, usando un mantello personalizzato con piume e colori.

 

 

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Pasta di Mais: la ricetta e i lavoretti da provare

La pasta di mais è un composto modellabile a base di amido di mais, colla vinilica e acqua. Viene chiamata anche “porcellana a freddo”, poiché si può far essiccare all’aria aperta, senza cuocerla (in realtà la cottura è consigliata, proprio come per la pasta di sale). 

Noi abbiamo sperimentato due diverse ricette di pasta di mais: una semi-liquida, per giocare (una volta cotta assomiglia alla pasta di sale) e l’originale porcellana a freddo. Scopriamo insieme come realizzarle.

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RICETTA DELLA PASTA DI MAIS PER GIOCARE

Scopriamo insieme come fare la pasta di mais (o pasta di amido di mais): bastano pochissimi e semplici ingredienti per realizzarla.

Ingredienti:

  • 1 bicchiere di amido di mais
  • 1 bicchiere di colla vinilica
  • 2 cucchiai di olio Johnson o vaselina
  • 1/3 di bicchiere d’acqua

Naturalmente potete adattare le quantità: se volete cominciare con una piccola dose, provate con nove cucchiai di colla, nove cucchiai di amido di mais e tre cucchiai d’acqua, a cui aggiungerete l’olio Johnson.

L’importante è rispettare la proporzione tra gli ingredienti: 1 parte di maizena, 1 parte di colla e 1/3 di parte d’acqua.

pasta di mais ricetta

 

Procedimento:

  • Nella ciotola, si riuniscono gli ingredienti
  • Utilizzando una forchetta o un cucchiaio, mescoliamo gli ingredienti finché non avremo ottenuto una pasta dalla consistenza omogenea
  • Se la pasta è ancora troppo liquida, incorporate dell’altro amido di mais e continuate a mescolare
  • Se invece non riusciamo ad amalgamarla per bene, provate ad aggiungere qualche cucchiaio d’acqua

A questo punto siamo pronti per giocarci: se si prova ad impastarla, infatti, questa pasta diventa solida. Se la lasciate nella ciotola, invece, tornerà semi-liquida. Questa è la consistenza della pasta di mais realizzata con l’acqua:

pasta di mais
Cottura: 
  • Versiamo la pasta semi-liquida in una piccola pirofila e cuociamola a bagnomaria per circa 10 minuti, a fuoco medio
  • Quando comincerà ad assumere un colore giallastro e perderà la sua trasparenza (come la figura sotto), potremo toglierla dal fuoco, aspettare che il tutto si raffreddi e poi modellarla

Questa pasta rimane abbastanza morbida, con l’unico difetto di essere un po’ friabile. Tuttavia, si possono realizzare semplici forme. Ecco la nostra pasta dopo la cottura: noi abbiamo deciso di realizzare Olaf di Frozen:

pasta di mais lavoretti

Una volta modellata, lasciate asciugare la pasta per un paio di giorni, poi sarete pronti per dipingerla, con le tempere o con i colori acrilici.

PASTA DI MAIS COLORATA

Colorare la pasta di mais è semplice: basta aggiungere qualche goccia di colorante alimentare agli altri ingredienti prima di cominciare a mescolare. Otterrete una bella pasta colorata.

RICETTA DELLA PASTA DI MAIS PER LAVORETTI (PORCELLANA A FREDDO)

La ricetta è estremamente simile alla pasta precedente, con una differenza importantissima: non si utilizzerà l’acqua. In questo modo la pasta rimarrà molto più compatta ed elastica.

Ingredienti: 

  • 1 bicchiere di amido di mais
  • 1 bicchiere di colla vinilica
  • 5 cucchiai di olio Johnson o vaselina (sì, ne servirà un poco di più rispetto alla ricetta precedente)

Procedimento:

  • Nella ciotola, si riuniscono gli ingredienti
  • Utilizzando una forchetta o un cucchiaio, mescoliamo gli ingredienti finché non avremo ottenuto una pasta dalla consistenza omogenea
  • se la pasta è ancora troppo appiccicosa, incorporate dell’altro amido di mais e continuate a mescolare

Questa è la consistenza da ottenere:

pasta di mais

La pasta così ottenuta è densa ed estremamente elastica: l’ideale per modellarla e realizzare delle simpatiche forme per i propri lavoretti.

LAVORETTI CON LA PASTA DI MAIS

La pasta di mais è ottima per realizzare forme da dipingere. Noi abbiamo provato a modellarla nei seguenti modi:

  • A mano libera, con risultati mediocri: meglio la pasta sale (specialmente per i bambini, che possono ingerirla senza problemi mentre qui c’è la colla, per quanto atossica)
  • Con gli stampi per biscotti, con ottimi risultati
  • Utilizzando gli stampi in silicone, con ottimi risultati

Ecco qualcuna delle forme che abbiamo realizzato:

lavoretti con la pasta di mais

Adesso è il momento di cuocere!

Cottura: 

  • Disponiamo le forme da cuocere in una teglia rivestita di carta forno
  • Inforniamo a 150 C°, per 30 minuti
  • I lavoretti in pasta di mais si dipingono dopo la cottura, utilizzando il colore acrilico e fissando il colore con una mano leggera di spray protettivo

PERCHÉ SCEGLIERE LA PASTA DI MAIS?

Ecco qualche buon motivo per provare a realizzare la pasta di mais:

  • Si prepara in un attimo: bastano cinque minuti per mescolare gli ingredienti ed ottenere una fantastica pasta modellabile
  • È un fluido non newtoniano; i bambini adorano queste sostanze, che assomigliano a liquidi ma diventano solidi. Se volete saperne di più, leggete la nostra guida sugli esperimenti per bambini: troverete una spiegazione scientifica di come funzionano
  • Non sporca, o meglio, sporca pochissimo e basterà una spugna bagnata per fare pulizia
  • Ha un bellissimo aspetto traslucido
  • È economica: costa molto meno di qualsiasi altra pasta modellabile in commercio

ALTRE PASTE MODELLABILI DA PROVARE

PASTA DI SALE: la regina delle paste modellabili per i più piccoli; si prepara in un attimo, si modella, si può cuocere oppure no, si conserva per una settimana e anche oltre. Servono altre ragioni per provarla? Se dobbiamo far giocare i bambini, è la soluzione migliore. Scoprite come si fa > Pasta di sale

SABBIA CINETICA: sicuramente la conoscerete, ma sapevate che è possibile realizzare una specie di sabbia cinetica fai da te utilizzando l’amido di mais e l’olio di semi? Realizziamola insieme > Sabbia cinetica

E non perdetevi la nostra guida sulle paste modellabili fai da te: nove ricette semplici e bizzarre da sperimentare a casa.

 

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Riscopriamo la semplicità, con il gioco dei “di più”

Vivere con semplicità è il modo migliore per educare alla semplicità. E riuscire a educare alla semplicità è il modo migliore per educare alla felicità.

Nella casa di una famiglia felice, semplici stoviglie di ceramica risplendono più della giada.

Proverbio cinese

COME RISCOPRIRE LA SEMPLICITÀ

In un libro di fine Ottocento, Flatland, viene descritto uno stato i cui abitanti sono figure geometriche a due dimensioni: Triangoli, Quadrati, Pentagoni e così via. Le donne, addirittura, sono appena dei segmenti.

Nonostante l’apparente banalità, questi personaggi vivono la loro vita appieno: non hanno proprio nulla da invidiare a noi esseri tridimensionali.

Ma cosa ci possono insegnare Quadrati e Triangoli sulla semplicità?

La riscoperta dell’essenziale. Non serve essere dei cubi per provare emozioni e amare la propria famiglia. Basta e avanza una dimensione!

Ma se per amare è sufficiente avere un cuore e una mente (sì, la mente è essenziale!), per vivere serve qualcosa di più: un tetto sulla testa, un pasto caldo due volte al giorno e un materasso, possibilmente comodo.

Anche i personaggi di Flatland hanno delle rudimentali case in cui ripararsi. Ma cos’è l’essenziale necessario? Qual è la nostra casetta fatta di cinque segmenti?

Spesso confondiamo l’essenziale con il “di più”. Ecco allora che abbiamo ideato un gioco per imparare a liberarci di tutto ciò che è superfluo.

IL GIOCO DEI “DI PIÙ”

Questo gioco si può sperimentare con tutta la famiglia e ci aiuterà a scovare le cose superflue che ci trasciniamo appresso. Ma perché giocare a trovare cose inutili? Perché:

La consapevolezza che si può cambiare è il primo passo verso il cambiamento. 

L. Hay

Ecco le istruzioni per giocarci:

  • Per cominciare si preparano dei biglietti, della forma che preferite. Potrebbero essere animali, semplici rettangoli o cuori.
  • Poi, a turno, ciascuno scrive su uno dei biglietti una cosa che ha e a cui potrebbe rinunciare facilmente.
  • La sfida è rinunciare a quella cosa per una settimana: potremmo nasconderla, regalarla a qualcuno o, semplicemente metterla da parte.

Ci siete riusciti anche voi? Di solito non è difficile individuare qualcosa che non ci serve: le nostre case sono piene di cianfrusaglie e orpelli inutili.

  • La settimana successiva, proviamo a scrivere un biglietto in più: questa volta, ciascuno dovrà rinunciare a ben due cose superflue

 

Questo gioco, per chi ha fretta di sbarazzarsi del “di più”, si può giocare anche in solitario: è sufficiente prendere carta e penna (oppure il proprio tablet) e cominciare a scrivere.

Imparare a individuare il superfluo è il primo passo; quello successivo è sbarazzarsene.

Una volta che sarete diventati esperti in quest’arte, provate a fare il passaggio successivo: giocate a far decluttering.

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FESTONI E GHIRLANDE DI CARTA FAI DA TE

Realizzare festoni e ghirlande di carta fai da te è un esercizio manuale e creativo simpatico. Inoltre, ti permetterà di addobbare a festa una stanza, un’aula o un locale riciclando i fogli di carta di giornale o al più utilizzando qualche foglio colorato. Infine, è un’attività che piace tanto ai bambini. In questo articolo puoi trovare vari modelli di festoni; li abbiamo selezionati per la loro semplicità e per la possibilità di realizzarli riciclando vecchie riviste o giornali.

FESTONI CON I VENTAGLI DI CARTA

Se hai già letto il nostro tutorial sui ventagli di carta, questo è il festone che fa al caso tuo; è anche uno dei nostri preferiti, per l’effetto decorativo e per il tocco di colore che dona agli ambienti. Realizzarlo è semplicissimo: dopo aver preparato un gran numero di ventagli di carta, incollali tra loro alternando i lati curvi (uno in alto, uno in basso), come nella foto.

festoni di carta fai da te

FESTONI CON  PETALI DI CARTA

Questi festoni sono esili e donano un tocco di colore senza occupare troppo spazio. Si realizzano pinzando fra loro un gran numero di petali di carta. Abbiamo realizzato un semplice tutorial, che puoi trovare qui sotto, scorrendo l’articolo.

festoni di carta fai da te

Per cominciare, ritaglia delle strisce di carta riciclata delle stesse dimensioni (lunghezza e larghezza).

festoni e ghirlande di carta fai da te

Prendi due strisce e ripiegale su se stesse; unisci le basi delle due strisce ripiegate e pinzale con una spillatrice. Dovresti ottenere due petali a forma di cuore, come quelli nella foto qui sotto:

Realizza un bel po’ di petali di carta e mettili da parte. Ti serviranno per il passaggio successivo. Per unire tra loro due petali, infilane uno all’interno dell’altro, come nella foto qui sotto. Arrivata/o a questo punto, unisci tra loro i due petali con un altro punto di spillatrice.

Continua ad aggiungere petali di carta finché il festone non avrà raggiunto la lunghezza desiderata.

FESTONI CON I FIORI DI CARTA VELINA

Questa è una ghirlanda realizzata unendo tra loro tanti fiori di carta velina. Dietro i fiori, a sostenerli, c’è uno spago: ciascun fiore è stato incollato allo spago con una goccia di colla a caldo.

ghirlande fai da te carta velina

FESTONI DI CARTA A FISARMONICA

 Cosa ci serve:

  • fogli colorati quadrati (il numero dei fogli determina la lunghezza del festone)
  • colla stick

 Come si fa:

  • piegate a fisarmonica ogni singolo foglio quadrato e poi ripiegatelo su se stesso a metà; otterrete una sorta di ventaglio
  • incollate la parte interna tra le due metà del ventaglio
  • dopo aver realizzato i vostri ventagli, assemblateli, invertendo il verso ogni volta (punta su- punta giù); fissate bene i lati perchè la decorazione resti ben salda

Questa è in assoluto una delle decorazioni più semplici e si presta ad essere appesa sia orizzontalmente sia verticalmente.

FESTONI DI CARTA CRESPA INTRECCIATI

Cosa ci serve:

  • carta crespa, meglio se 2 colori diversi
  • colla

Come si fa:

  • tagliate due strisce di carta crespa, di colori diversi, dello spessore di circa 4 cm
  • mettete un po’ di colla sui primi 4 cm di un colore e poi incollateci l’altro colore in modo che si formi un angolo a 90 gradi
  • ripiegate il colore inferiore sopra l’altro, portandolo sul lato opposto e procedendo così fino ad esaurimento della carta crespa

FESTONI DI CARTA CRESPA A FRANGE

Cosa ci serve:

  • carta crespa in più colori
  • forbici
  • spago

Come si fa:

  • preparate tante strisce di carta crespa di circa 40 cm di lunghezza
  • affiancate le strisce dopo averle tagliate
  • piegatele a metà formando in alto un’asola con un dito
  • fissate con lo spago l’asola, dovrete realizzare una sorta di “mocio vileda”
  • realizzate un po’ di decorazioni a frangia, fate passare lo spago o una corda nelle asole e attaccate la decorazione alla parete

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Trovare la propria strada: questa è educazione

A volte, il modo migliore per imparare è rompere gli schemi: invece di utilizzare un manuale o le ricerche di psicologia, perché non ci lasciamo ispirare da un libro, da un quadro o da un film?

Cominciamo da questo bel cortometraggio realizzato qualche anno fa dalla Disney Pixar.

LA LUNA: IL CORTOMETRAGGIO DELLA PIXAR

L’INSEGNAMENTO: LA LIBERTÀ È ESSENZIALE PER TROVARE LA PROPRIA STRADA

Se dovesti riassumere questo cortometraggio in una parola, quale useresti? Noi, probabilmente, sceglieremmo libertà: libertà di trovare la propria strada, libertà di seguire la tradizione ma allo stesso tempo di innovare.

Ma quali sono gli elementi più importanti per aiutare i bambini e i ragazzi a trovare la propria strada? Ecco alcune proposte:

  • Dare fiducia: un bambino può crescere responsabile solo se l’abbiamo abituato alla responsabilità; il modo migliore è dargli fiducia, lasciando che possa portare a termine da solo le sue “sfide”, grandi o piccole che siano
  • Essere disponibili: ad insegnare, ma anche ad ascoltare; il tutto senza mai dimenticare che essere disponibili è cosa ben diversa dall’essere sempre a disposizione!
  • Dare spazio: potersi muovere è fondamentale per esplorare il mondo e trovare il proprio angolino

Certo, a parole sembra facile; nella realtà, invece, trovare il giusto mix tra queste tre componenti senza impazzire è davvero complicato. Comincia da queste domande:

  • Cosa vuol dire dare fiducia? 
  • Ed essere disponibili? 
  • E dare spazio? 

La risposta non sarà un assoluto, ma la visione personale di ciascuno di noi. Proprio da questa dobbiamo cominciare: diamo abbastanza spazio e fiducia? Siamo disponibili?

Interrogati, e poi cerchiamo di capire come cambiare davvero (ti consigliamo di leggere l’articolo “Per educare dobbiamo accettare il cambiamento“), provando a migliorare gli aspetti della tua relazione che ci piacciono meno.

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