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Educhiamo al rispetto: non alla paura, né all’incuranza

L’educazione tradizionale – quella di una volta che, almeno nell’immaginario collettivo, funzionava – era fondata sull’autorità genitoriale forte: un’autorità punitiva e piuttosto rigida, che vedeva nel bambino un subordinato da correggere e da istruire. A questa visione è seguita quella democratica, che riconosceva al bambino il diritto di decidere e di rivendicare la propria volontà in modo democratico e trasversale.

Cosa dicono le neuroscienze sui bambini
Le neuroscienze e la ricerca psicologica hanno evidenziato un’immaturità infantile che non è esclusivamente caratteriale, ma soprattutto cerebrale: il cervello del bambino è molto diverso da quello di un adulto. Il processo di crescita non riguarda esclusivamente l’apprendimento di nuovi saperi: è una trasformazione profonda anche a livello biologico e cognitivo.
Tuttavia, le emozioni e le esperienze che proviamo nella prima infanzia, si ripercuotono sullo sviluppo. Un bambino che associa gli ambienti di apprendimento alla paura e all’inadeguatezza, per fare un esempio, da adolescente cercherà di fuggire dallo studio. Il suo cervello, infatti, gli suggerirà di evitare queste esperienze dolorose. Così, un bambino che sia stato punito per le sue azioni, imparerà ad agire di nascosto.
Se ci fermiamo a queste evidenze scientifiche, dovremmo concludere che entrambe le proposte educative avanzate finora sono fallimentari: l’autorità basata sull’adulto-padrone, infatti, rischia di produrre un senso di paura e inadeguatezza persistente. Abbandonare il bambino a se stesso fingendo che sia un adulto, d’altra parte, non tiene conto della sua immatura cerebrale. È evidente la necessità di individuare una terza strada, che unisca la necessità del bambino di essere guidato – anche prendendo decisioni che, apparentemente, vanno contro i suoi desideri – con la necessità di vivere in un ambiente caldo, stimolante e capace di suscitare emozioni positive.

Educare al rispetto
Ci piace pensare che questa terza strada, questa nuova educazione, sia l’educazione al rispetto, ovvero un’educazione impartita attraverso l’esempio e il fare insieme, fatta di regole – sì, le regole ci sono e ci devono essere – ma anche di condivisione di quelle regole: noi adulti dobbiamo trasmetterne il valore ai bambini, dobbiamo essere al loro fianco quando chiederemo di rispettarle.
L’educazione al rispetto si fonda, prima di tutto, sul rispetto del bambino per quello che è: una creatura immatura, ma capace di esprimere un potenziale immenso. Una creatura unica, da far crescere con amore e attraverso l’amore, apprezzandolo per il bambino che è, ma pensando sempre alla donna o all’uomo che un giorno sarà. L’educazione al rispetto è prima di tutto un’educazione strategica, fatta di obiettivi articolati su un periodo temporale lungo: rispettare un bambino significa agire oggi perché domani possa godere davvero del bene più prezioso che c’è: la libertà.

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Imparare scrivendo, con il Metodo Grafomotorio

La scrittura è un’arte complessa, che coinvolge tanto la mano quanto il pensiero. Se una bambina o una bambino non impara a scrivere correttamente in età prescolare e nei primi anni della scuola primaria – cosa che succede sempre più spesso – tenderà a sviluppare difficoltà serie nell’apprendimento.
Ne parliamo in questa intervista con la grafomotricista Ilaria Lenti, specializzata nel Metodo Grafomotorio©, che lavora che lavora sui processi di apprendimento dei bambini e dei ragazzi.

Cosa si intende per Metodo Grafomotorio?

Il Metodo Grafomotorio© è un metodo che favorisce l’apprendimento della persona in particolar modo dei bambini nella fascia compresa tra 3 – 12 anni.  Attraverso pratiche esperienziali dell’imparo – facendo, il Metodo Grafomotorio©, ideato ed elaborato dalla Dott.ssa Daniela Cieri, grafologa e grafomotricista, oltre a porsi come metodologia didattica inclusiva, consente ai bambini di avviarsi sin dalla prima infanzia alla lettura, alla scrittura, al linguaggio e al calcolo.

Quali bambini e quali ragazzi possono trarre beneficio dall’applicazione del Metodo Grafomotorio?

Il grafomotricista affronta le difficoltà di apprendimento e le problematiche legate ai DSA, BES; aiuta il bambino ad applicarsi nello studio traendo un metodo di studio proprio; favorisce l’apprendimento del bambino con difficoltà. Il grafomotricista, in quanto esperto nell’ambito didattico-pedagogico, aiuta l’apprendimento (a scuola e anche nei compiti pomeridiani) e si pone al fianco dei bambini sia nella prima infanzia (3-4 anni) per lo sviluppo dei prerequisiti, sia nella prescolarizzazione per il potenziamento delle abilità cognitive (5-6 anni), e sia in fase scolare (bambini 6-12 anni) per un apprendimento significativo.
A partire dai 12 anni, quando il bambino possiede gli schemi mentali cognitivamente sviluppati, la didattica metacognitiva diventa il comune denominatore per un apprendimento significativo.

A quali genitori consiglieresti di rivolgersi a una/un grafomotricista?

È importantissima la prevenzione. Pertanto, consiglierei di rivolgersi ad una/un grafomotricista a quei genitori i cui figli:

  • stanno per affrontare l’importante ingresso alla Scuola Primaria, in quanto questo professionista può stimolare e/o potenziare i prerequisiti necessari per un apprendimento significativo (abilità visuo – spaziali, discriminazione uditiva, memoria, concentrazione ed attenzione, pregrafismo);
  • presentano delle difficoltà nella lettura, scrittura, calcolo;
  • presentano dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA);
  • presentano una scorretta postura e/o impugnatura dello strumento grafico;
  • non hanno un metodo di studio proprio, in quanto il grafomotricista può aiutare il bambino/ragazzo a trovare quello più giusto per lui.

Sono i genitori ad avviare il percorso o è necessaria l’intermediazione di un altro specialista per la progettazione di un intervento mirato (insegnante, psicologo, neuropsichiatra infantile)?

Se sono i genitori ad accorgersi di difficoltà di apprendimento del figlio possono decidere di rivolgersi direttamente al grafomotricista o possono comunicarlo alla scuola e chiedere agli insegnanti se condividono le loro preoccupazioni; se le difficoltà scolastiche sono state rilevate anche dai docenti, allora è il caso che la famiglia, su consiglio della scuola, faccia valutare il figlio secondo le modalità previste dalla normativa vigente (Legge 170/2010), che prevede la possibilità per tutti i bambini e ragazzi, nel caso di sospetto di presenza di DSA, di poter usufruire di tutte le iniziative utili per l’effettivo godimento del diritto allo studio. È importante che si crei tra scuola e famiglia un dialogo costruttivo e una reciproca collaborazione per poter supportare il bambino/ragazzo; solo con un’azione sinergica si potrà ottenere il successo formativo.

La qualità della scrittura dipende anche da come i bambini impugnano il loro supporto (penna, matita, etc.); esiste un “problema di impugnatura” tra i nostri bambini? Quanti di loro impugnano scorrettamente?

Capita spesso di vedere i bambini fermarsi, scuotere il polso magari con qualche smorfia e riprendere a scrivere: questo è indicativo di quanto sia faticoso scrivere per loro, al di là della quantità che viene richiesta. La formazione di calletti sulle dita è sintomo di un’impugnatura scorretta che spesso non viene più sistemata per pigrizia, perché a lungo andare entra nell’abitudine sebbene sia chiaramente dolorosa. Poiché correggere un’abitudine scorretta comporta difficoltà, l’ideale sarebbe impostare la corretta impugnatura già dalla prima infanzia.
Tra i quattro e i cinque anni, infatti, i bambini sono già in grado di passare dall’impugnatura “a martello” – la matita chiusa nel palmo della mano – all’impugnatura con la presa a pinza o a tre dita (impugnatura corretta).
L’ impugnatura scorretta dovrebbe essere sempre trattata e risolta non solo quando questa da origine ad una vera e propria disgrafia, ma anche quando questa condizione non si manifesta; una cattiva impugnatura, inevitabilmente, si traduce in tensione muscolare a livello della mano, del polso, della spalla, del collo, e questo accumulo di tensioni penalizza la fluidità del gesto grafico, rendendo faticoso l’atto dello scrivere.

Il Metodo Grafomotorio risolve questi problemi di impugnatura? Come?

La motricità fine è una capacità fondamentale per la crescita del bambino ed è pertanto necessario svilupparla bene; essa è la capacità di controllare il proprio corpo su specifici movimenti con le mani e le dita.
Questi movimenti, estremamente piccoli e precisi, richiedono un’alta capacità di concentrazione e una buona coordinazione oculo – manuale.
Il Metodo Grafomotorio©, attraverso attività ludico – didattiche, aiuta a stimolare e potenziare la motricità fine con:

  • attività di flessione e distensione delle dita;
  • attività di infilare (lacci, perline, pasta);
  • attività con le costruzioni;
  • attività con puzzle (magari con i pomelli).

Sappiamo che si tratta di un tema delicato, ma è possibile che ad alcuni bambini venga diagnosticato un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) in presenza di una semplice difficoltà?

Negli ultimi anni si è riscontrato un vero e proprio aumento delle diagnosi di Disturbo dell’Apprendimento, che non implicano il docente di sostegno, ma comunque sempre dei Piani Didattici Personalizzati (PDP).
Secondo alcuni autori, l’aumento delle diagnosi è avvenuto in quanto si fa confusione tra la difficoltà di apprendimento e il disturbo conclamato; le difficoltà di apprendimento sono delle fatiche e degli ostacoli “di passaggio” che il bambino incontra a scuola su cui si può intervenire per tempo; il disturbo di apprendimento, invece, è una condizione innata, persistente e resistente alle attività di potenziamento.
Proprio per evitare diagnosi sbagliate e riconoscere la distinzione tra difficoltà e disturbo sarebbe auspicabile sviluppare un sistema educativo e pediatrico in grado di sensibilizzare anche i genitori nei processi evolutivi del bambini, ma soprattutto va fatta tanta formazione a livello scolastico.

8. Puoi farci un esempio, indicando un’attività specifica utilizzata dal Metodo Grafomotorio?

Parto dicendo che il Metodo Grafomotorio© ha tre regole:

  • “A PICCOLI PASSI”, che consiste nella lentezza e nella semplicità esecutiva delle attività;
  • “DAL GRANDE AL PICCOLO”, che consiste in prassie che partono da azioni più ampie, più grandi, più facili, per poi arrivare al piccolo (attività sul quaderno);
  • “IMPARO – FACENDO”, che consiste nell’apprendere toccando con mano.

Ad esempio, per stimolare l’apprendimento della lettura, utilizzando il Metodo Grafomotorio©, si può partire da attività di analisi dei suoni, per poi passare alla segmentazione/composizione di parole con difficoltà crescente; successivamente si passa alla divisione sillabica e tipi di parole che iniziano con la stessa sillaba; si arriva poi ad identificare i suoni delle lettere nelle parole e ad attività di abbinamento fonema – grafema.

Motivazione ad apprendere, grinta e ottimismo sono fondamentali per il successo dei giovani studenti. Il Metodo Grafomotorio lavora in qualche modo sulla motivazione e sull’auto – disciplina?

Lo studente che vive continuamente situazioni di frustrazioni nello studio presenta scarsa autostima e non attribuisce valore a sé stesso come studente. La sua identità è costantemente messa in discussione e, percependosi come un “incapace”, si convince del fatto che anche i genitori, i compagni e gli insegnanti pensino la stessa cosa.
Bambini e ragazzi possono soffrire di “ansia da prestazione”, un meccanismo che si innesca quando in ambiente scolastico non ottengono risultati e, invece di essere incoraggiati, vengono pressati e rimproverati. I risultati insoddisfacenti in ambito scolastico generano un circolo vizioso:

  •  l’insuccesso prolungato genera scarsa autostima;
  • la scarsa autostima scaturisce disagio psicologico;
  • il disagio psicologico genera ansie, inibizioni, aggressività e atteggiamenti oppositivi.

Il Metodo Grafomotorio mette in atto delle strategie didattiche:

  • calmare lo stato d’ansia precedente;
  • impostare una didattica metacognitiva che mette al centro il bambino (e non l’insegnante);
  • incoraggiare le abilità del bambino e i sui piccoli successi.

10. Raccontaci una storia in cui l’applicazione del Metodo Grafomotorio ha “cambiato” una giovane vita.

Vi porterò l’esempio di un bambino di 6 anni che chiamerò M. Quando i genitori di M. sono arrivati da me erano quasi senza speranze; non potevano credere che il loro bambino in un anno, tra scuola e lezioni extra, non avesse imparato a scrivere nemmeno una lettera dell’alfabeto “a differenza dei suoi compagni di classe”.
Iniziando le sedute con M. sono arrivata alla conclusione che “l’intoppo” fosse nell’associazione fonema – grafema, ossia il bambino non aveva difficoltà di comprensione delle consegne verbali, ma la difficoltà era andare a riportare per iscritto i suoni delle lettere.
Abbiamo iniziato a fare una serie di attività: da “tra le immagini che ti sto mostrando quale inizia con la lettera A?” a “con la pasta di sale formami la lettera A”; dopodiché, ho scoperto che era un amante degli animali. Quindi, ho impostato l’associazione fonema – grafema, e altre attività, usando gli animali.

11. Per concludere: esiste un’associazione o un albo dei Grafomotricisti? Come può, una famiglia, individuare un professionista nella propria zona?

L’unica associazione a cui fare riferimento sia per il rilascio del titolo del grafomotricista, sia per formarsi nella didattica metacognitiva del Metodo Grafomotorio© è il GRAPHè, Istituto di Ricerca e Formazione grafologica e grafomotoria e Centro per l’Apprendimento, il quale detiene un Elenco di Esperti e di Grafomotricisti, autorizzati ad utilizzare il Metodo Grafomotorio©. L’Istituto ha un sito istituzionale, www.istitutographe.it .

*Ilaria Lenti si è diplomata in Grafologia presso l’Istituto Graphè e successivamente ha conseguito il master in Metodo Grafomotorio© presso lo stesso istituto. Opera come libero professionista nel campo dei disturbi della scrittura. Qui il suo profilo professionale

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Educazione positiva: il caso degli Emirati Arabi Uniti

Gli Emirati Arabi Uniti, nell’edizione 2017 del World Happiness Report, si sono classificati ventunesimi (oltre dieci posizioni sopra l’Italia, che invece si trova alla trentaseiesima posizione). Il Ministero per la Felicità (negli Emirati Arabi Uniti esiste!) ha così deciso di inserire la felicità nell’agenda governativa, con l’obiettivo di far salire il paese ai primi posti della classifica, lavorando sul grado di felicità dei suoi abitanti.

Il mondo si cambia a partire dalla scuola
Gli Emirati Arabi Uniti hanno investito principalmente sulla scuola: infatti, l’educazione positiva è lo strumento più efficace per cambiare una società, garantendo un reale benessere ai suoi membri (al di là del benessere economico). Ma come si realizza un intervento di educazione positiva? Gli studi scientifici hanno permesso, negli ultimi due decenni, di mettere a punto un protocollo valido ed efficace, articolato in quattro fasi:

  • Apprendimento: la prima fase è quella in cui un gruppo di esperti di educazione positiva trasmette i propri insegnamenti ai docenti e alle famiglie delle scuole coinvolte. La durata di questa fase è breve e permette agli adulti che lavoreranno a contatto con i bambini di conoscere i principi dell’educazione positiva.
  • Esperienza: la seconda fase prevede che gli adulti formati dagli esperti facciano pratica degli insegnamenti ricevuti su se stessi. Inoltre, in questa fase il programma di educazione positiva (personalizzato da ciascuna scuola e ciascun ente) viene articolato e messo in pratica. Si istituisce così una “comunità positiva sperimentale”.
  • Formalizzazione dell’insegnamento: dopo la fase sperimentale è possibile effettuare una prima analisi, che permetterà di istituire un programma formale di educazione positiva. Circa il 30% delle scuole di Dubai è già entrato in questa fase, assumendo a tempo pieno i docenti di educazione positiva.
  • Incorporazione: nel corso degli anni i programmi di educazione positiva si sviluppano e si raffinano. L’ultima fase prevede la collaborazione tra scuole e lo scambio di conoscenze per mettere a punto programmi sempre più efficaci, oltre che per condurre una ricerca scientifica di alta qualità.

Il programma pilota partito nel 2017 ha coinvolto dieci istituti e ha visto un miglioramento della soddisfazione degli studenti e delle performance accademiche nel 90% dei soggetti coinvolti. Un risultato notevole, al punto tale che l’educazione positiva è stata introdotta in pianta stabile e in modo progressivo nelle scuole di Dubai.

Felicità o benessere? 
Quando parliamo di World Happiness Report dobbiamo sempre considerare i limiti del termine “felicità”. Questa, infatti, si confonde spesso con un’emozione positiva (la gioia), mentre in realtà si tratta di un costrutto più complesso.
La felicità, secondo lo standard della psicologia positiva (la cosiddetta teoria del benessere o modello PERMA) viene considerata come la somma dei propri sentimenti positivi, delle proprie relazioni sociali, del significato che attribuiamo alla vita, dei nostri successi e del coinvolgimento con cui affrontiamo i nostri compiti quotidiani.
Questo genere di felicità non è legato esclusivamente agli stati d’animo individuali, ma è un costrutto molto più ampio: un benessere diffuso è indice di una società solidale, aperta e motivata a lavorare nell’interesse collettivo.

FONTI

  • Adler, Alejandro & Seligman, Martin. (2018). Positive Education (Seligman, M. E. P., Adler, A. (2018). Positive Education. In J. F. Helliwell, R. Layard, & J. Sachs (Eds.), Global Happiness Policy Report: 2018. (Pp. 52 – 73). Global Happiness Council.).

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LEGO introduce i mattoncini in bio-plastica (e punta ad abolire la plastica a breve)

Lo sapevi che tutti i LEGO che rappresentano elementi vegetali (foglie, alberi, piante e cespugli) sono prodotti in bioplastica?

I primi LEGO “green”
Anche LEGO sta mettendo in campo le sue energie nel tentativo di convertirsi in senso ecologico. I primi mattoncini LEGO in bioplastica sono stati lanciati a marzo 2018: la manovra ha riguardato tutti gli elementi vegetali nelle confezioni (piante, cespugli, foglie). La bioplastica utilizzata è un particolare tipo di polietilene, ricavato a partire dalla canna da zucchero: un materiale resistente e durevole, proprio come la plastica a cui siamo abituati. Non si è trattato di un’operazione semplice: infatti, la ricerca nel campo dei nuovi materiali deve confrontarsi con standard di qualità e durevolezza elevati. I LEGO devono sopravvivere a decenni di utilizzo e devono essere compatibili con quelli delle generazioni future. L’idea è quella di tramandarsi i mattoncini nel tempo, dai genitori ai figli!
Al momento, tra l’1 e il 2% della gamma LEGO è prodotta in bioplastica. L’obiettivo è quello di portare questa percentuale al 100% entro un decennio. Tra i piani – ambiziosi – per il 2030 c’è anche il raggiungimento dell’obiettivo “Zero Waste”, ovvero l’abolizione dei rifiuti prodotti dalla produzione e dalla commercializzazione dei mattoncini. Attendiamo fiduciosi. Del resto, nel 2017 LEGO aveva già raggiunto un obiettivo simile: utilizzare solo fonti di energia rinnovabili per alimentare la propria catena produttiva (traguardo raggiunto attraverso la costruzione di impianti eolici).

Costruiamo un mondo migliore (un mattoncino per volta)
Gli sforzi dei produttori di giocattoli nel tentativo di convertire in senso ecologico i propri prodotti non deve sorprenderci. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un interesse crescente nel campo dell’ecologia e della sostenibilità; del resto, il nostro pianeta è minacciato e se vogliamo consegnarlo ai nostri figli così come lo abbiamo ricevuto dovremo faticare non poco.
Il nostro contributo è prezioso: non dobbiamo mai dimenticare che le nostre scelte d’acquisto e i nostri interessi influenzano il comportamento delle aziende (in modo molto più profondo di quello che potremmo immaginare). Il mondo digitale, in questo senso, funge da acceleratore per intercettare e seguire l’opinione pubblica: grazie ai dati raccolti dai social network e ai motori di ricerca è possibile individuare con grande precisione ciò che desidera il pubblico. Ad un primo sguardo potremmo pensare “ci spiano!”, ed è vero. Tuttavia, esiste un rovescio della medaglia: sono le aziende che devono adeguarsi, non il contrario. Quelle “spie”, dati alla mano (e per ragioni di profitto), sono costrette a fare ciò che ci aspettiamo da loro.
Ecco perché vale la pena credere nelle proprie idee e promuoverle con coraggio.

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Test psico-attitudinali ai docenti: un passo avanti, non una soluzione

L’idea di introdurre dei test psico-attitudinali per la selezione dei docenti piace ai presidi e agli insegnanti italiani, al punto che l’80% si dice favorevole alla loro introduzione. L’insegnamento, del resto, non è un lavoro per tutti. Ma quali insidie si nascondono dietro questa presa di posizione?

L’utilità dei test psicoattitudinali in entrata
Selezionare i docenti sulla base di un test psicoattitudinale non è un’idea sbagliata. L’insegnamento è una professione che, accanto alle conoscenze “da concorso” (che sono fondamentali: insegnare senza conoscere a fondo le discipline è pericoloso), devono possedere una grande quantità di competenze trasversali: empatia, capacità di ascolto, autocontrollo e auto-disciplina. Un noto studio nel campo della psicologia positiva ha rivelato, qualche anno fa, che il fattore che meglio di tutti riesce a predire il successo degli insegnanti (ovvero il non-abbandono della carriera e i risultati degli studenti) è l’autodisciplina. Non il QI, né il proprio grado di preparazione nelle discipline di insegnamento, ma la capacità di non arrendersi di fronte agli ostacoli.
Questa evidenza scientifica è una di quelle per le quali vale la pena richiedere i test psicoattitudinali: potrebbero essere uno strumento per selezionare solo i docenti migliori, quelli capaci di fare la differenza e di istruire anche classi complesse.

Il grosso limite dei test psicoattitudinali 
Purtroppo, i test psicoattitudinali non sono uno strumento per prevenire i comportamenti scorretti da parte degli insegnanti. Chi li invoca per tutelare i bambini dagli episodi di violenza (fisica e psicologica) prende una cantonata. Infatti, lo stress lavoro correlato non si misura all’ingresso, ma in itinere. L’insegnamento è una professione che usura nel tempo: necessità di un monitoraggio attento e costante, non di uno sbarramento all’ingresso (che, come abbiamo detto, potrebbe invece essere utile per la qualità dell’insegnamento e della relazione docente-discente).
Per Vittorio Lodolo D’Oria, medico che si occupa di stress lavoro correlato, con i test a inizio carriera non si risolve nulla. Come ha scritto su Orizzonte Scuola: “Dobbiamo sempre rammentare che quella del docente è la helping profession maggiormente esposta all’usura psicofisica dell’insegnante medesimo. Poi ci porta un esempio più che eloquente: “Pochi giorni fa si è rivolta a me un’insegnante di sostegno della scuola primaria confidandomi che ha preso a calci e schiaffi il bimbo disabile a lei affidato che la fa disperare. Questo è il tipico sintomo noto come ‘mancanza del controllo degli impulsi’ che connota un disordine psicopatologico franco. Credere di risolvere il problema con un test psicoattitudinale all’inizio della carriera di un docente è quanto meno illusorio. Non dimentichiamo che l’insegnante è l’unico professionista ad avere un particolarissimo rapporto con la (stessa) utenza: incontri di più ore tutti i giorni lavorativi della settimana, per 9 mesi di fila all’anno, per cicli di 3 o di 5 anni.  Il medico ci spiega come articolerebbe un intervento sostitutivo ai test: “Al primo punto ci dovrebbe essere il riconoscimento delle patologie psichiatriche come malattie professionali dell’insegnamento (si ricordi che oggi sono riconosciute come causa di servizio solo le disfonie croniche); al secondo l’attuazione della prevenzione dello SLC – come previsto dall’art. 28 del D.L. 81/08 – attraverso l’informazione dei docenti circa le loro malattie professionali e la formazione dei dirigenti scolastici rispetto alle loro incombenze medicolegali nella tutela della salute dei docenti; l’ultima fase dovrebbe essere quella dell’erudimento dei medici sulle patologie professionali degli insegnanti attraverso realizzazione e diffusione di studi epidemiologici sulla categoria professionale dei docenti”.

FONTI

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Le api sono l’essere vivente più importante sulla Terra

Le api sono state dichiarate “l’essere vivente più importante sul pianeta” dall’Earthwatch Insitute, nel corso di un raduno della Royal Geographical Society of London. Attualmente le api si trovano tra le specie danneggiate, la cui sopravvivenza è a rischio.

La scomparsa delle api
Studi recenti indicano che la popolazione mondiale di api si è ridotta del 90% negli ultimi anni. Le principali cause di questa drastica riduzione vanno ricercate nell’uso indiscriminato dei pesticidi, nella deforestazione e nella distruzione degli habitat naturali, che significa la distruzione dei fiori di cui le api si nutrono.
L’importanza delle api è legata al loro ruolo di insetti impollinatori: il 70% dei frutti e degli ortaggi di cui ci nutriamo vengono impollinati grazie al lavoro instancabile delle api (e dei bombi, oltre che di alcune altre specie impollinatrici).

Presentiamo le api ai bambini
Le api sono in pericolo e dobbiamo salvarle (se non per altruismo, quantomeno per garantirci una sopravvivenza dignitosa in futuro). Ma come possiamo trasmettere questo concetto ai bambini? Come possiamo sensibilizzare i più piccoli alla tutela delle api e degli altri insetti impollinatori? Molti bambini hanno addirittura paura delle api!
Noi abbiamo deciso di muovere i primi passi utilizzando un libro: Il regno delle api, un albo illustrato realizzato da Piotr Sacha.

All’interno dell’albo si trovano tante informazioni sulle api, sulla loro biologia e sul loro comportamento. La parte del leone, tuttavia, la giocano le immagini, che occupano la quasi totalità delle pagine. La lettura delle didascalie è breve, e si accompagna all’interpretazione e all’osservazione delle illustrazioni (che sono davvero meravigliose). Nel nostro caso il libro ha riscosso un grande successo e abbiamo raggiunto l’obiettivo che ci eravamo prefissati: il timore ha lasciato il passo alla curiosità e la curiosità alla ricerca.

Questo libro costituisce il primo passo verso un progetto più ampio di sensibilizzazione verso la salvaguardia delle api. Solo imparando a conoscere le api, le loro abitudini e il loro mondo potremo poi mettere in atto piccole azioni concrete per difenderle. Ad esempio, attrezzando sul balcone di casa una piccola – e colorata – area salva-api.

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