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Il giardino delle emozioni

il giardino delle emozioni portalebambini

Il giardino delle emozioni è un luogo incantato, in cui la magia delle fate si mescola con le emozioni. Queste favole sono ideali per introdurre i laboratori di educazione emotiva o, più semplicemente, per riflettere sul mondo emotivo che ciascuno di noi custodisce nel proprio “giardino del cuore”.

Elenco delle favole

  1. Il coraggio della ninfea
  2. Perché le ortiche hanno le spine
  3. La favola della lavanda
  4. La favola del peperoncino
  5. La favola del convolvolo (rabbia)
  6. La favola del fiordaliso 
  7. La favola del cactus
  8. La favola dell’orchidea selvatica
  9. La favola dell’edera
  10. La montagna solitaria
  11. La cometa che volle visitare la Terra
  12. L’albero e la pioggia invidiosa
  13. Le rondini al mercato 
  14. Il mollusco che voleva fare il pittore
  15. Il paguro nel secchiello
  16. La stella marina che riprese a danzare
  17. La favola del kakapo
  18. La leggenda dell’ibisco
  19. Il giglio del deserto
  20. La favola di Jed e Billa
  21. Il bambino e le ortensie
  22. La favola delle lenticchie
  23. La cavalletta rosa
  24. Cuordineve e il cervo volante

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Il sogno di nonno tartaruga

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta una vecchia tartaruga verde. Ma che dico vecchia, era vecchissima: aveva da poco compiuto 190 anni. Passava le giornate a riposare tra gli scogli e a raccontare vecchie storie del mare ai suoi trisnipotini.
La tartaruga si dedicava giorno e notte a loro e aveva un unico rimpianto: sin da piccola, avrebbe voluto diventare una studiosa e iscriversi all’Accademia dell’Oceano, dove si trovavano le tartarughe marine più intelligenti di tutti i mari.

Purtroppo, non era riuscita a studiare: quando era ancora una giovane tartarughina, proprio mentre stava nuotando diretta all’Accademia per superare il severo test di ammissione (100 difficili domande sugli abitanti del mare) un peschereccio la catturò e la vendette. La poveretta trascorse i 110 anni successivi prigioniera di uno zoo. Un bel giorno, riuscì a scappare e impiegò altri 10 anni a tornare a casa, dall’altra parte del mondo! Al termine del suo viaggio, incontrò una tartaruga dolcissima, di cui si innamorò e con cui fece più cento bei tartarughini. Si prese cura di loro, dei suoi nipoti, poi dei bisnipoti e infine dei trisnipoti (che erano svariate centinaia).

La vecchia tartaruga ebbe una vita avventurosa, ricca di soddisfazioni, di discendenti e di qualche sfortuna, ma non riuscì a diventare una studiosa.
Non aveva mai parlato a nessuno del suo sogno finché un giorno – forse per via dell’età – raccontò dell’Accademia dell’Oceano al suo trisnipote Smeraldino, un bel tartarughino verde intraprendente e pieno di vita.
Smeraldino prese a cuore il sogno del trisnonno ed ebbe un’idea: “Nonno, perché non andiamo a studiare insieme? Anche a me piacerebbe iscrivermi all’Accademia e conoscere tutti gli animali marini”.

All’inizio il nonno si oppose, gli disse: “Non darti disturbo, lascia stare”, ma il piccolino insistette così tanto da non lasciargli scelta: un bel mattino arrivò allo scoglio con due lettere di iscrizione all’Accademia dell’Oceano.
“Questa è per te” disse al nonno, porgendogli una delle lettere.
E così, alla veneranda età di 190 anni, nonno tartaruga tornò a scuola – ben felice di farlo – insieme a suo nipote e a tanti altri animali affascinati all’idea di studiare gli oceani; secondo chi l’ha conosciuta non ha mai sfigurato ad un’interrogazione e nonostante l’età si è diplomata a pieni voti.

Questa favola è dedicata a tutte le nonne e i nonni che hanno coronato il loro sogno di studiare, perché la conoscenza non ha età. 

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Il villaggio che rimase al buio per salvare i pettirossi

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta una giovane femmina di pettirosso che volava di terra in terra alla ricerca di un posto sicuro in cui edificare il suo nido.
Un giorno, fu sorpresa da un temporale e dovette cercare un riparo nelle vicinanze.
Il pettirosso atterrò in un piccolo villaggio, trovo una casetta d’acciaio dall’aspetto robusto e si rintanò al suo interno. Si trovò così bene che, quando il temporale fu cessato, costruì lì il suo nido e depose le uova.

Al tramonto, qualcuno si avvicinò: era il vecchio custode, venuto ad accendere le luci; senza saperlo, il pettirosso aveva costruito il suo nido dentro la centrale elettrica che serviva ad accendere i lampioni del villaggio.
“Che guaio” pensò il custode quando si accorse del nido: “quel pettirosso è in pericolo: se accenderò la luce, potrebbe rimanere folgorato. Non posso farlo”.
Il custode, senza accendere le luci, corse al paese e radunò tutti i concittadini che riuscì a trovare.

Quando furono tutti nella piazza, parlò così: “Se allontaniamo l’uccellino dal nido, le sue uova non si schiuderanno più. Se accendiamo la luce, il nido potrebbe prendere fuoco e il pettirosso potrebbe prendere la scossa”.
Gli abitanti del villaggio si consultarono perplessi.
“Cosa vorresti fare?” chiesero al vecchio custode.
“Lasciamo spenti i lampioni: presto le uova si schiuderanno, i pettirossi voleranno via e torneranno alla loro terra. Fino a quel giorno, penso che non dovremmo accendere le luci”.

Qualcuno protestò, ma alla fine tutti furono d’accordo: la vita del pettirosso e dei suoi piccoli valeva quel piccolo sacrificio.
Il villaggio rimase al buio fino alla schiusa delle uova. Ogni giorno il custode si avvicinava alla centrale elettrica in punta di piedi, per controllare la situazione.
Infine, quando giunse il tempo e i pettirossi spiccarono il volo, gli abitanti del villaggio organizzarono una grande festa per loro, felici di aver salvato la vita a quelle creature meravigliose.

Questa favola è ispirata ad una storia vera. 

 

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L’albero e la pioggia invidiosa

C’era una volta un albero che era cresciuto a ridosso di una spiaggia e viveva sereno, ammirando il mare.
Un giorno la pioggia, invidiosa della sua vita felice, decise di provocarlo e inondò le terre dietro di lui. L’acqua aprì una piccola fenditura nella roccia e cominciò a scorrere sotto l’albero.
“Che fortuna!” pensò lui, “così non soffrirò più la sete”.
Infuriata, la pioggia inondò di nuovo la terra e questa volta la fenditura si allargò, scoprendo le radici dell’albero.
“Che fortuna!” pensò lui, “aria fresca per le mie radici”.
La pioggia era fuori di sé per la rabbia: “Ma non ti sei accorto che sto portando via la terra su cui sei cresciuto? Cos’hai da essere tanto allegro?”.
Infuriata, inondò la terra per la terza volta. Questa volta l’acqua portò via la terra e l’albero rimase sospeso per aria, aggrappato soltanto a due rocce che crescevano ai suoi lati.
“Come fai ad essere ancora lì?” si domandò la pioggia, fuori di sé, “Avresti dovuto morire, trascinato in mare dall’acqua”.
“Cosa dovrei risponderle?” si domandò l’albero.
“Che sono troppo impegnato a vivere per bisticciare inutilmente?
Che la mia vita è troppo preziosa perché qualcuno possa avvelenarla?
Che le angherie della pioggia mi hanno fatto male, ma mi hanno anche insegnato che è bello superare le difficoltà?”
L’albero non rispose e il suo silenzio fu troppo per la pioggia invidiosa: lasciò quel paese per sempre e di lei non si seppe più nulla.
L’albero invece, dopo tanti anni, è ancora lì, che ammira l’oceano aggrappato alle rocce.

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La montagna solitaria

la montagna solitaria

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta una montagna bellissima, ma terribilmente sola. La sua vetta rocciosa toccava il cielo e nemmeno gli stambecchi riuscivano ad inerpicarsi lassù.
“A cosa vale tanta bellezza” si lamentava la montagna, “se non ho neppure un amico? Meglio sarebbe stato nascere un deserto, arido e mortale. Almeno avrei avuto scorpioni, serpenti e piante spinose a tenermi compagnia”.
Giorno dopo giorno, la montagna era consumata dalla noia e dalla solitudine.

Una notte, una stellina la vide piangere. “Che cosa buffa” pensò, “una montagna alta come il cielo che piange come una bambina”.
La stelline decise di aiutarla e prese lo slancio, per scendere sulla terra a farle compagnia. Era sul punto di saltare quando sentì una mano, dietro di lei, che la tratteneva con dolcezza. Era Astra, la fata delle stelle: “Non puoi andare, non ora. Se la montagna non impara ad amare la solitudine, non potrà mai assaporare il dono dell’amicizia”.
La stellina non sopportava di vedere la montagna in quello stato; d’altra parte, non voleva contrariare Astra e così decise di disobbedire, ma soltanto un poco. Rimase in cielo e provò a parlare con la montagna. Usò parole dolci e gentili, le stesse parole incantate che aveva imparato da Astra, miliardi di anni prima e salvò la montagna dalle lacrime.

Quella notte, per la prima volta dopo un tempo che le parve infinito, la montagna si addormentò felice e sognò, un fiore bellissimo, che non aveva mai visto prima, a forma di stella. Quando si svegliò, coperta di neve, la montagna soffiò sul suo fianco e col suo soffio disegnò, tale e quale, il fiore che aveva sognato la notte prima.
Fu così che la montagna solitaria scoprì di amare l’arte: di giorno disegnava soffiando sulla neve e di notte mostrava le sue creazioni alla stellina; divenne un’artista e non fu più sola.

“Hai visto?” commentò con dolcezza Astra, “la montagna ha trovato la sua ispirazione e la noia non le pesa più: adesso è pronta per trovare degli amici.
Poi si fece seria e si rivolse alla stellina: “Ma tu, desideri ancora scendere sulla Terra? Ti senti pronta compiere questa scelta?”.

 

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La cometa che volle visitare la Terra

cometa neowise

Molto tempo fa, una cometa, per sfuggire alla noia, chiese a suo padre: “Cosa potrei fare?”
“Va’ a vedere la Terra” rispose lui.
“La Terra?”
“Sì: è un pianeta. Io l’ho visitata tre milioni di anni fa: era bellissima, coperta dalle foreste e dagli oceani. Hai mai visto una foresta?”
“No papà”.
“Allora dovresti partire. Anzi, va’, mettiti in cammino oggi stesso”.
La cometa cominciò il suo lunghissimo viaggio e, dopo un tempo che le parve infinito, arrivò lì dove le mappe celesti indicavano “Terra”.

La Terra era lì, ma era molto diversa da come se l’aspettava: le foreste erano poche e spelacchiate e gli oceani erano grigi di plastica; intorno ad essi, si innalzava una spessa cortina di fumo.
“Povera Terra” mormorò la cometa, “chi ti ha ridotto così?”.
La Terra indicò gli uomini.
“Gli uomini?” mormorò sorpresa la cometa, “com’è possibile; mi sembrano creature gentili. Guardali, sono tutti raccolti sotto il cielo stellato per salutarmi”.
“Gli esseri umani sono straordinari” rispose la Terra, “ma imprevedibili: ogni tanto brillano come le stelle del cielo, ma spesso sono pericolosi come le meteore”.
“Ci penso io” la rassicurò la cometa.

Poi fece segno agli uomini radunati sotto di lei di ascoltarla. “Amici umani, sono venuta qui per vedere le foreste incontaminate e gli oceani immensi, ma questa Terra è molto diversa da come me la aspettavo: avete bistrattato il vostro povero pianeta, è irriconoscibile. Se continuate così, presto sarà un deserto avvelenato. Nel corso dei miei viaggi ne ho incontrati a centinaia e sono tristi e spaventosi. Fate qualcosa! So che potete riuscirci. Quanto a me, non ho fretta: tornerò tra settemila anni per vedere se mi avete ascoltato”.
La cometa tornerà, questo è poco ma sicuro.
Secondo voi cosa troverà al suo ritorno?

Testo di: Alessia de Falco & Matteo Princivalle
Ispirata al passaggio della cometa NEOWISE. 

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