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Per comprendere appieno il concetto di benessere è molto efficace la metafora del giardino: immaginate di prendervi cura di un piccolo giardino. Per cominciare, dovrete eliminare le erbacce e le sterpaglie, ovvero tutti gli ostacoli negativi che ci impediscono di vivere in modo soddisfacente: malattie, problemi economici, dipendenze, etc. Quest’opera di pulizia, tuttavia, è solo una parte del processo di cura di un giardino: a seguire, dovrai scegliere e piantare fiori, alberi e arbusti. Questi sono i pensieri, comportamenti, valori, relazioni, punti di forza, traguardi da raggiungere e tutti gli altri elementi positivi alla base di una vita soddisfacente. Non è sufficiente la semina per fare un giardino: esso richiede cure costanti, giornaliere e amorevoli. Non è un caso che gli psicologi positivi abbiano utilizzato il termine inglese flourishing, che indica l’atto della fioritura, per connotare lo sviluppo ottimale di una persona. Per fiorire occorre bilanciare emozioni positive, valori, relazioni sociali, interessi e obiettivi in un mix vincente, secondo una formula diversa per ciascuno di noi. Proprio come i fiori.
IL GIARDINO DELL’ANIMA
Di seguito vi proponiamo un semplice esercizio per focalizzare l’attenzione su di voi e sui vostri bisogni. Lo stesso esercizio si può proporre ai bambini, a partire dai 6-7 anni di età. Su un foglio di carta o su una pagina del vostro diario, provate a disegnare il giardino della vostra anima: quali fiori vorreste piantare? Quali alberelli? Ricordate che ogni specie è una metafora che simboleggia un aspetto del carattere, una virtù o un obiettivo differente. E ricordate anche che il vostro giardino dell’anima cambia forma nel tempo, proprio come un giardino terrestre.
PER EDUCARE CON LE FAVOLE:
Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.
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Esiste una formula della felicità (intesa come benessere)? Di questo si è occupato Martin Seligman, che ha individuato il seguente mix: al 50% la nostra felicità è ereditaria, ovvero dipende dai nostri geni e dai nostri genitori; al 10% dipende dalla nostra vita e dai fattori esterni (gli eventi che ci accadono); al 40% dipende dai fattori interni, ovvero dai nostri stati mentali.
Il 40% di felicità legata ai fattori interni è la porzione su cui tutti noi possiamo lavorare: si tratta di un grado di felicità (benché parziale) su cui ciascuno di noi ha il controllo e che chiunque può sviluppare. La disciplina che si occupa di educare alla felicità è la psicologia positiva. Per quanto riguarda il 50% della felicità che ereditiamo dai nostri genitori, dovrebbe spingerci a prendere sul serio il benessere personale e il modo in cui approcciamo la felicità. Se siamo persone felici, non soltanto diventeremo genitori felici, ma daremo alla luce figli “felici a metà”. Non è una conseguenza banale! Esistono diversi studi che si sono occupati di analizzare la componente ereditaria della felicità e anche se non tutti hanno raggiunto le medesime conclusioni, è certo che esistano fattori “innati” che ci rendono felici. Allo stesso modo, è indubbio che un ambiente familiare sereno, caratterizzato dal buonumore e da genitori sorridenti, sia un potente conduttore di felicità. Inoltre, è bene sottolineare che i geni vengono influenzati dai fattori ambientali. Di questo si è occupato Todd Kashdan, che ha analizzato gli studi sulla componente genetica della felicità. Il corredo genetico è come una torre composta di tanti mattoncini: basta eliminarne uno o due per ottenere effetti rilevanti. Anche per questo è tanto importante il buonumore in casa. Fortunatamente, ciascuno di noi è artefice della propria felicità, almeno al 40%.
PER EDUCARE CON LE FAVOLE:
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“Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l’età. Ecco che da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l’avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per possederla”. Epicuro
Sin dall’antichità gli uomini cercano con ogni mezzo di raggiungere la felicità. Ma cos’è questa felicità? E soprattutto: siamo sicuri che quello che vogliamo sia unicamente una vita felice? Purtroppo, il termine stesso felicità è di poco aiuto; il rischio di confonderla con l’emozione della gioia è molto elevato e la gioia, come tutte le emozioni, è destinata a durare poco, secondi, per l’esattezza. Lo psicologo Christopher Peterson, uno dei padri fondatori della psicologia positiva, ha osservato che: “Un sorriso non è un indicatore infallibile di tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Quando siamo profondamente coinvolti in attività appaganti, quando parliamo con il cuore o quando compiamo un gesto eroico, non è detto che ci mettiamo a sorridere o che in quel momento proviamo piacere. Tutti questi aspetti sono di grande interesse per la psicologia positiva e non rientrano nel campo della felicitologia“. Per questa ragione, gli psicologi positivi hanno preferito indicare col termine di benessere l’obiettivo della ricerca. Il benessere era già stato individuato dall’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) come espressione della salute. La salute, in altre parole, a partire dagli anni sessanta non è più definita come assenza di malattia, ma come stato di benessere. Nel 2011 lo psicologo Martin Seligman della University of Pennsylvania ha formulato una teoria del benessere, per individuare gli elementi che contribuiscono a questo stato e per superare una volta per tutte il luogo comune che identifica la felicità col buonumore. Questa teoria, negli ultimi dieci anni è stata riveduta ed ampliata più volte ed è tuttora oggetto di ricerca e miglioramento scientifico; già allo stato attuale, però, è utile a individuare delle “aree di lavoro” per l’educazione e per la crescita personale. I nostri percorsi di educazione positiva sono ispirati a questa teoria: per ciascuna area abbiamo selezionato riflessioni, buone pratiche educative ed esercizi di crescita personale per costruire benessere.
Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.
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LA CODA DELL’ASINO Giocatori: 1 o più (si gioca 1 alla volta) Durata: 10 minuti
Per cominciare bisogna realizzare un cartellone raffigurante un asino. L’ideale è utilizzare un cartellone bianco o un foglio di carta di grandi dimensioni, ma si possono anche accostare sei fogli bianchi di carta A4, unirli sul retro con del nastro di carta e successivamente disegnare l’asino. È molto importante che l’asino non abbia la coda.
Successivamente dovrete preparare la coda: potete usare una corda, una striscia di stoffa o in mancanza d’altro realizzare una coda rigida di cartoncino. All’attaccatura della coda dovrete fissare un pezzo di nastro di carta, in modo che la coda si possa attaccare e staccare dal cartellone con l’asino senza rovinarlo.
Adesso siete pronti a giocare: il bambino, bendato, dovrà riuscire ad attaccare la coda sul cartellone con l’asino, nel posto giusto. Dopo aver attaccato la coda, dovrete dargli un punteggio: 0 indica che ha attaccato la coda fuori dal cartellone, 50 che l’ha attaccata sul cartellone ma fuori dall’asino, 100 indica un centro perfetto (usate liberamente i punteggi tra 50 e 100 in base alla distanza della coda dal centro).
Il gioco della coda dell’asino è ottimo per le feste e per gli eventi d’animazione, ma si rivela sorprendentemente facile e divertente anche a casa. Il nostro consiglio è quello di realizzare un bell’asino, dando fondo alla creatività (potreste realizzare un asino geometrico come quello che compare nelle nostre Favole Geometriche, un’asino interamente colorato con il doodling, un’asino ispirato ai grandi artisti, un asino psichedelico ispirato ai tabelloni delle freccette o perché no, un asino realistico). La preparazione del cartellone, in questo modo, diventerà parte integrante del gioco. Se giocate in famiglia, potreste organizzare una piccola “gara di famiglia”, tenendo traccia dei punteggi di ciascun membro della famiglia su un blocco note.
RAGNATELA Partecipanti: da 2 a 4 Durata: da 30 minuti a 1 ora
Scegliete una stanza o un corridoio in cui giocare. Dopo aver scelto il luogo in cui giocare costruite la vostra ragnatela, tendendo tra i mobili un filo di lana. Potete aiutarvi con del nastro di carta, della pasta adesiva (come questa) per fermare i fili; potete anche utilizzare delle sedie per tendere i fili, mettendole agli angoli della stanza. Dovrete realizzare un vero e proprio labirinto di fili. Per finire, al centro della ragnatela dovrete collocare alcuni piccoli oggetti: potete utilizzare matite, collane e piccoli giocattoli.
I partecipanti devono raggiungere il centro della ragnatela senza toccare i fili, raccogliere – uno per volta – gli oggetti che si trovano lì e portarli all’esterno della ragnatela. Per vincere la partita i bambini devono riuscire a recuperare tutti gli oggetti dalla ragnatela senza mai toccare i fili. Se un giocatore tocca un filo viene eliminato.
Se i bambini sono più di uno, potete animare il gioco in questo modo. Fate scegliere a ciascun bambino un ragno: durante la partita, impersonerà proprio quel ragno. Potete far realizzare a ciascuno un disegno del suo personaggio.
IL VIAGGIO DEL VELIERO Giocatori: 5-10 Età: 3-7 anni Occorrente: una benda
Prima di cominciare dovrete sorteggiare i ruoli: dovranno esserci un veliero e un faro, mentre tutti gli altri giocatori impersoneranno un ostacolo (scoglio, iceberg, mina, mostro marino, etc.)
Disponete il veliero ad un angolo della stanza e il faro all’angolo opposto; gli ostacoli dovranno disporsi nello spazio tra i due;
L’obiettivo del bimbo-veliero è raggiungere il bimbo-faro. Se ci riesce, vince la partita. Se invece, lungo il percorso, dovesse toccare un ostacolo, saranno gli altri partecipanti a vincere la partita.
Il faro deve emettere un suono ogni 30 secondi;
Se il veliero si avvicina a un ostacolo, questo dovrà avvertirlo inventando un suono caratteristico, modulando l’intensità in base alla distanza (più il veliero si avvicina, più il suono dovrà crescere d’intensità);
È utile la presenza di un animatore per evitare che il bimbo-veliero urti contro spigoli e oggetti pericolosi;
Al termine di una partita se ne può giocare un’altra scambiando i ruoli, in modo che tutti i partecipanti sperimentino il ruolo del veliero.
SCOPRITE TANTI ALTRI GIOCHI TRADIZIONALI:
Volete riscoprire i giochi tradizionali dei cinque continenti? Leggete i libri della collana “Parole e giochi dal mondo”, che curiamo per ITL-Libri: ogni volume contiene una selezione di giochi da tanti paesi diversi.
Tag: giochi in casa, giochi da fare in casa, giochi da fare in casa per bambini
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I gesti altruistici sono fonte di benessere in primo luogo per chi li compie? L’altruismo ci permettere di mostrare agli altri la parte migliore di noi, rende più felice la giornata di qualcun altro e di riflesso, anche la nostra. Si tratta di un comportamento prezioso, che merita più attenzione in ambito educativo ma anche nel nostro percorso di crescita quotidiana.
Qualcuno potrebbe pensare che l’egoismo sia necessario per alimentare la competizione, chiave di volta del nostro sistema. David Sloan Wilson, nel libro “L’altruismo. La cultura, la genetica e il benessere” (Bollati Boringhieri, 2015) è andato oltre questa credenza, parlando di altruismo efficace. Semplificando al massimo: non è il fine del gesto altruistico che conta (capita a volte di comportarsi in modo altruista “da egoisti”, ovvero pensando al futuro tornaconto), quanto piuttosto l’effetto che produce per gli altri. Effetto che nel tempo si riflette nel benessere di chi compie il gesto. L’altruismo, alla lunga, conviene! Ecco perché si tramanda da millenni, alla faccia dei sostenitori dell’egoismo! La ricerca di Wilson, oltre ad essere un segnale incoraggiante per tutti noi, dimostra che essere altruisti non è così difficile come potrebbe sembrare! Anzi, una volta iniziato, il comportamento altruistico si propagherà e diventerà sempre più forte e benefico.
Esercizi di altruismo: la staffetta dell’altruismo
Educare all’altruismo è possibile, anche attraverso il gioco. Non è l’unica strada, ma può essere un momento divertente per riflettere insieme. Un gioco che si può utilizzare per raggiungere questo fine è quello della staffetta dell’altruismo. Si realizza una staffetta (potete utilizzare un pezzo di legno dipinto e decorato, oppure un qualsiasi altro oggetto), che inizialmente conserverà uno dei genitori. Quando il proprietario della staffetta dell’altruismo compirà un buon gesto verso un altro membro della famiglia, il magico oggetto passerà a lui. Il possessore della staffetta ha tre giorni per compiere un buon gesto verso qualcun altro e passargli così il testimone. L’importante è che quest’attività rimanga un gioco: la gentilezza non deve diventare un’ossessione ed è proprio per questo che la staffetta ha un regolamento così elastico. Ad ogni modo, ci sono tutti i presupposti necessari per trasformarla in un simpatico rituale familiare.
VI È PIACIUTO QUESTO APPROFONDIMENTO? SCOPRITE ANCHE:
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