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L’analfabetismo emotivo

l'analfabetismo emotivo

L’analfabetismo emotivo (o analfabetismo emozionale) è, secondo Umberto Galimberti e Daniel Goleman, l’incapacità di riconoscere e controllare le proprie emozioni. L’analfabeta emotivo è vittima di un inaridimento del cuore, che lo rende incapace di provare empatia e compassione; è quindi freddo, imprevedibile.

Cos’è l’analfabetismo emotivo

L’analfabetismo emotivo è quello stato in cui una persona non riesce a riconoscere le emozioni che prova (non che non le provi, le emozioni ci sono sempre) e ad attribuire correttamente le emozioni altrui (empatia deficitaria). È fondamentale imparare a riconoscere questo disagio, che anche se non possiamo classificare come malattia rende certamente la vita peggiore. L’analfabetismo emotivo è legato a filo doppio al concetto di intelligenza emotiva di Peter Salovey e Daniel Goleman.

Quando le emozioni stanno a bollire nel profondo della nostra anima, secondo Umberto Galimberti, diventano un ospite inquietante, una presenza fissa e invisibile che rimane nascosta finché, in modo del tutto imprevedibile, freddo e follemente razionale non sfocia in gesti estremi.
Nel suo saggio intitolato proprio L’Ospite Inquietante l’autore parla di una serie di casi di ragazze e ragazzi che hanno vissuto nella normalità fino al momento in cui hanno compiuto le azioni peggiori. Accomunati tutti dal definirsi “persone normali”. Proprio la normalità cela l’analfabetismo emotivo, il deserto dei sentimenti tanto dannoso.

Un esempio di analfabetismo emotivo è quello costituito da un bambino che, trascorrendo le sue giornate davanti alla tv o a qualche videogioco, non riesca a comprendere quali azioni, nel gioco “reale”, possano causare rabbia o invidia nei compagni, scatenando risse e malumori ogni volta che si trova al parco. Anche in assenza di stime precise, chiunque lavori nella scuola o a contatto con i bambini saprà che si tratta di un disagio in forte aumento, a causa anche della virtualizzazione della realtà. Non frequentare il parco, non parlare e vivere a contatto con i coetanei ci rende meno capaci in tutti quei compiti che prevedano abilità sociali, come ad esempio riconoscere le emozioni.

Combattere l’analfabetismo emotivo

L’antidoto contro l’analfabetismo emotivo è costituito dall’educazione sentimentale e dall’educazione emotiva.

Di recente è stata avanzata una proposta di legge volta a omogeneizzare questi percorsi intrapresi autonomamente da docenti, trasformandoli in un virtuoso modello nazionale, volto ad attuare un diritto scritto nella Convenzione di Istanbul e a colmare il ritardo dell’Italia rispetto all’Europa.
Il presupposto, come si è detto, è di insegnare ad affrontare le emozioni per sradicare i pregiudizi. Saper parlare dei propri sentimenti è anche un modo per migliorare le capacità di comunicare e l’apprendimento cognitivo, che alle emozioni è strettamente connesso.

Ma è davvero necessario porre un accento così forte sull’analisi delle emozioni? Non dovrebbe essere un percorso di apprendimento fisiologico? Forse sì, ma purtroppo, ai giorni nostri, non lo è. Nel 2007 il filosofo Umberto Galimberti ha lanciato l’allarme, evidenziando come l’analfabetismo emotivo stesse dilagando tra i più giovani. Il motivo? Nessuno vuole dare colpe, ma sicuramente la mancanza di tempo, le routine sempre più frenetiche, gli stili di vita volti ad avere il tutto, non il meglio, contribuiscono a ridurre la qualità del tempo trascorso in famiglia.

I sentimenti non si tramandano di generazione in generazione geneticamente, con il Dna, ma si apprendono in famiglia e attraverso la cultura. I primi anni di vita del bambino sono un periodo chiave, determinante per molti aspetti della vita futura. E’ proprio in questo periodo che i bambini vanno seguiti, accuditi, ascoltati perché altrimenti si convinceranno di non essere ascoltati, di non averne diritto, di non valere niente.

I genitori sono tra i principali autori nella costruzione delle mappe emotive, aiutando i bambini a passare dal semplice impulso, che è fisiologico e naturale, all’emozione, che è un passo evoluto rispetto all’impulso, fino ad arrivare al sentimento, che non è solo una questione emotiva ma anche cognitiva. In questo processo è fondamentale saper utilizzare un corretto linguaggio emotivo, facilitatore dell’apprendimento.

Far socializzare i bambini è un rimedio all’analfabetismo emotivo? E’ piuttosto prevenzione di un disagio, è un modo per garantire uno sviluppo armonico e una crescita serena.  

Cosa può essere utile nel combattere l’analfabetismo emotivo? Imparare a sorprendersi, mettersi in condizione di sperimentare le emozioni, ad esempio stando a contatto con la natura. Anche i contesti sociali aiutano molto. Leggere libri sulle emozioni e fiabe emozionanti sono altri validi aiuti. 

Diciamo una cosa molto banale, ma oggigiorno i genitori hanno poco tempo: troppo impegnati a lavorare, per necessità o per desiderio di realizzarsi, delegano l’educazione dei figli ad altri, spesso trincerandosi dietro il concetto di “tempo di qualità“. Sicuramente la qualità del tempo è importante, ma non sufficiente: laddove possibile (possibilmente sempre) i bambini hanno bisogno di tempo-quantità: di essere riconosciuti passo dopo passo, disegno dopo disegno, domanda dopo domanda.

Spesso crediamo che un week end al parco giochi compensi un’assenza settimanale. Purtroppo aiuta, ma non è abbastanza per instaurare una relazione con i figli. E allora, genitori, imparate a prendervi voi del tempo, a rallentare, a riflettere sui vostri sentimenti, sulle vostre emozioni, su ciò che state trasferendo ai vostri bambini.

Se non si aiutano i figli a costruire, da piccolissimi, le mappe emotive, essi cresceranno senza riuscire  a “sentire” nel profondo la differenza tra bene e male, tra il giusto e l’ingiusto. In questo modo i figli cresceranno vittime di quell’apatia psichica che spesso porta a quando ormai sempre più spesso le cronache tristemente ci raccontano. Il rischio è l’apatia affettiva, la noia, la mancanza di stimoli che poi porta, inevitabilmente, oltre all’analfabetismo emotivo, anche a cercare stimoli attraverso risposte forti.

Riferimenti

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Il vecchio, il nipote e l’asinello

il vecchio, il nipote e l'asinello

Favola iraniana

Un nonno e il suo piccolo nipote si misero in viaggio insieme all’unico asinello che possedevano, per raggiungere la città. I due si alternavano sul dorso dell’asino, per non affaticarlo troppo. Lungo la strada incontrarono un gruppo di persone che, parlando tra loro, li rimproverarono duramente: “Guarda quel vecchio egoista: sta comodo sul dorso dell’asino e fa camminare il povero bambino. È disgustoso”.

Il nonno si vergognò, scese dall’asino e fece salire il nipote. Poco più in là, superarono un gruppo di donne, che li criticarono alle spalle: “Guarda quel ragazzino! Potrebbe camminare senza fatica e invece sta comodo sull’asino. Farà morire di fatica quel vecchio; non c’è più educazione”.

Il bambino si vergognò e fece salire sull’asino anche il nonno. Lungo la strada superarono un gruppo di contadini diretti verso i campi. Erano appena passati oltre che li sentirono indignarsi: “Avete visto quel vecchio e quel bambino? Pur di non camminare fanno stramazzare il loro povero asinello; è gente senza cuore, chi si comporta come loro dovrebbe essere multato”.

Il vecchio e il bambino si vergognarono sentendo queste parole; scesero tutti e due dal dorso dell’asino e proseguirono a piedi. Erano quasi arrivati in città quando oltrepassarono alcuni mercanti. Questi, sghignazzando, li schernirono dicendo: “Guardate quei due: potrebbero farsi portare sul dorso dell’asino e invece camminano come due pezzenti. Sono dei citrulli, tali quali il loro somaro”.

Questa volta il nonno disse al nipote: “Qualunque cosa tu faccia, la gente ti criticherà ugualmente. Se sei convinto di ciò che fai, non fare caso a ciò che dicono gli altri”.

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Battaglia navale

Battaglia navale è uno dei giochi con carta e penna più conosciuti e giocati al mondo, nonché uno dei più divertenti.
In questo articolo troverete: 1) le regole del gioco, 2) lo schema da scaricare e da stampare per giocare a battaglia navale e 3) le varianti più diffuse del gioco.

1. Regole della battaglia navale

  • Per poter giocare, ogni giocatore deve avere 2 griglie da 10×10 caselle (indicate con numeri e lettere) e una matita.
  • Prima di cominciare la partita, ogni giocatore dovrà disporre le sue navi disegnandole sulla prima delle 2 griglie.
  • Le navi da schierare sono:
    1 portaerei (nave lungha 6 caselle)
    2 corazzate (nave lunga 4 caselle)
    3 incrociatori (nave lunga 3 caselle)
    4 torpedinieri (nave lunga 2 caselle)
  • Per posizionare una nave è sufficiente colorare leggermente le caselle sulle quali intendiamo schierarla.
  • Quando i giocatori hanno schierato la propria flotta, comincia il gioco.
  • Si gioca a turni
  • Il giocatore di turno dovrà colpire una casella della griglia avversaria, indicandone il nome.
    Esempio: A1, E3, F4.
  • L’avversario dovrà dire se la casella era vuota (“acqua”), se ha colpito una nave (“colpito”) o se ha colpito una nave e l’ha affondata (“colpito e affondato”). Una nave viene colpita quando tutte le sue caselle sono state colpite. Il giocatore di turno segnerà sulla seconda delle due griglie le caselle colpite, i colpi a vuoto e le navi centrate.
  • Dopo ogni colpo il turno passa all’altro giocatore.
  • Vince la partita il primo giocatore che riesce ad affondare tutte le navi della flotta avversaria.

2. Schema della plancia da stampare

Su portalebambini.it abbiamo realizzato lo schema della battaglia navale da scaricare e da stampare. Potete utilizzarlo per una battaglia navale fai da te semplice e divertentissima. Cliccate sull’immagine qui sotto per stamparla.

3. Varianti

Ecco alcune varianti della battaglia navale per rendere più divertenti le vostre partite.

  • Una delle varianti più popolari prevede che il giocatore di turno non colpisca una sola casella, ma colpisca tante volte quante sono le sue navi (quindi, si comincia con 10 colpi a disposizione ogni turno). Ogni volta che una nave viene affondata si sottrae 1 colpo da quelli a disposizione del giocatore.
    Questa variante rende il gioco più veloce e conferisce un vantaggio al giocatore che riesce ad affondare le navi nemiche.
  • Un’altra variante prevede che se un giocatore colpisce una delle caselle adiacenti a una nave nemica, l’avversario non dica “acqua”, ma “in vista”. In questo modo è possibile individuare più facilmente le navi nemiche. Questa variante rende il gioco più semplice ed è utile soprattutto se a giocare sono i bambini.

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Educare alla creatività

In questa sezione di portalebambini.it potete trovare il nostro percorso di educazione creativa. Abbiamo raccolto letture, approfondimenti e attività pratiche frutto di 8 anni di ricerca e lavoro sul campo.

1. Cos’è la creatività?

Un punto di forza! Esistono numerose definizioni “scientifiche” di creatività, ma la verità è che gli studiosi sono ancora impegnati nel tentativo di comprenderla appieno.

Secondo la prospettiva dell’educazione positiva, la creatività è un punto di forza personale, ovvero una caratteristica che tutti noi possediamo (chi più, chi meno) e che si può allenare. Secondo la classificazione VIA effettuata dagli psicologi positivi si tratta della capacità di avere delle idee originali (ovvero diverse dalle altre esistenti) e utili (da un punto di vista materiale o da un punto di vista della comunicazione e della condivisione). Non è una definizione perfetta, ma secondo noi è sufficientemente buona.

Vi suggeriamo alcune letture per conoscere meglio la creatività. Ciascuna di esse affronta concetti chiave, caratteristiche particolari e false credenze di questo punto di forza.

LETTURE

2. Allenare la creatività

Ed eccoci alla parte pratica.
Per cominciare, vi suggeriamo di prendere confidenza con il concetto di pensiero laterale. Formulato da Edward de Bono, sotto alcuni punti di vista è simile al pensiero creativo. Negli anni de Bono ha applicato il pensiero laterale ai contesti lavorativi, aziendali e formativi, formulando un gran numero di esercizi efficaci.
Perché questi esercizi siano efficaci, occorre praticarli con costanza: se avete deciso di intraprendere un percorso per sviluppare la creatività, vi suggeriamo un periodo di pratica quotidiana non inferiore a un mese. Potete cominciare dagli esercizi che abbiamo inserito qui sotto, tra i percorsi esperienziali. La lettura chiave, invece, presenta il pensiero laterale e offre la teoria necessaria per apprezzare appieno gli esercizi.

ATTIVITÀ

Ricordate sempre che la creatività si allena usandola. Gli esercizi che abbiamo proposto sono degli “attivatori”, ma da soli non sono sufficienti: ci piace considerarli come trampolini di lancio, capaci di rimuovere gli ostacoli che ci impediscono di utilizzare appieno la creatività nella vita quotidiana.

ATTIVITÀ

5. Educazione creativa e crescita personale

La crescita personale si sviluppa a partire da un concetto centrale: quello di cambiamento. A volte il cambiamento è consapevole, altre volte ci investe in modo imprevisto. Genitori, insegnanti e educatori si trovano ad affrontare quotidianamente il cambiamento e i suoi effetti.
La creatività è uno degli strumenti che abbiamo a disposizione per governare questi cambiamenti.

LETTURE

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Il lupo e la volpe

il lupo e la volpe

Il lupo e la volpe

Jean de la Fontaine

C’era una volta una vecchia volpe che una notte passò accanto a un pozzo; non ci vedeva più molto bene e confuse il riflesso della luna sul fondo del pozzo per una caciotta.
La volpe saltò dentro uno dei due secchi che si trovavano sul bordo del pozzo e si calò giù con la corda. Quando arrivò in fondo, scoprì di aver preso un abbaglio, ma era troppo tardi: infatti non poteva più risalire.
L’animale, rimase intrappolato nel pozzo per due giorni quando una sera passò di lì un lupo.
“Caro lupo, guarda che caciotta ho trovato in questo pozzo” gli disse la volpe, “è troppo grande per me, vieni a mangiare anche tu”.
Il lupo, che non sospettava di nulla, si sedette nell’altro dei due secchi, che era rimasto sul bordo del pozzo; i secchi erano uniti con una fune ad una carrucola e così, mentre il lupo scendeva, la volpe risaliva verso l’uscita. Quando il lupo si accorse di essere stato ingannato, ormai troppo tardi: la volpe era sgattaiolata via e lui si trovava sul fondo del pozzo.

Solo un ingenuo crede a chi lo attira con allettanti false promesse.

LEGGETE TANTE ALTRE FAVOLE:

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La favola del prezzemolo

La favola del prezzemolo

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

Nell’orto di uno scrittore crescevano rigogliose menta, origano, melissa, salvia, maggiorana, rosmarino e una pianta di prezzemolo.
Tra le aiuole era difficile annoiarsi: le giornate d’estate trascorrevano tra racconti fantastici, qualche pettegolezzo e tanti bagni di Sole.
Soltanto il prezzemolo faceva eccezione: a lui non interessava diventare sempre più verde, come gli altri. Voleva diventare un giornalista, viaggiare e fare grandi inchieste. Si allenava intervistando le sue vicine d’aiuola, interrompendo i loro discorsi con voce squillante per domandare: “Chi?” “Che cosa?” “Quando?” “Dove?”.
All’inizio il prezzemolo suscitò curiosità, ma presto risultò invadente. Bastava che si avvicinasse alla salvia perché quella lo mandasse via con brutte parole: “Non mi seccare, vai a intervistare i vermi”.
Con le altre piante andava ancora peggio.
Un giorno lo scrittore scese nell’orto per cogliere alcuni aromi e mentre si chinava per recidere qualche foglia gli parve di udire un singhiozzo disperato.
“È certamente il caldo” pensò il ragazzo, ma il pianto proseguì a dirotto.
Guardando meglio, si accorse che era proprio la pianta di prezzemolo a singhiozzare.
Una persona qualsiasi avrebbe pensato: “È impossibile!”, ma lui era uno scrittore e domandò semplicemente: “Perché piangi?”
“Piango perché sono triste. Le altre piante mi dicono che faccio troppe domande, che sono un ficcanaso.
Ma io voglio diventare un giornalista, devo fare domande”.
“Sei curioso, e la curiosità ti riempie di energia. Ma ti sei mai chiesto se alle altre piante fanno piacere le tue domande?”
“Ma io devo raccontare la verità!” strillò il cespuglio di prezzemolo.
Sul volto dello scrittore si disegnò un sorriso.
“Perché vuoi farlo? E quale verità vuoi raccontare? Quella di chi scrive? Quella di chi racconta? Quella di chi legge? Quella di chi vive? Io sono uno scrittore, invento storie di sana pianta. Eppure, c’è del vero anche lì, tra le mie righe fantastiche”.
Il prezzemolo scosse le foglioline, pensieroso.
“Quindi tutte le mie domande sono inutili? Dovrei rinunciare al mio sogno?”
“No, per nessuna ragione al mondo dovresti farlo.
Ma prima di domandare agli altri, domanda al tuo cuore”.
“E cosa dovrei domandargli?”
“La domanda più importante. La “domanda delle domande”: perché?
Perché vuoi raccontare la verità?
Perché vuoi diventare un giornalista?
Perché le altre piante ti hanno messo da parte?”.
Il prezzemolo rimase quieto nella sua aiola per qualche tempo. Meditò sulle parole dello scrittore e imparò ad ascoltare: il suo cuore, il silenzio, il mondo.
Infine, un giorno, trovò le risposte alle sue domande e decise di dare vita ad un piccolo giornale, “l’Orticello”.

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